La rinascita del giardino di Studi Orientali

All’interno della Caserma Sani, un angolo della Trama verde dell’Esquilino curato dai cittadini del rione
(Numero 4 – Bimestre nov-dic 2015 – Pagina 3)

L’avventura inizia circa tre anni fa, quando in uno dei tanti incontri organizzati nella sede dela facoltà di Studi Orientali di via Principe Amedeo per parlare del rione, Massimo Livadiotti, presidente di Respiro Verde Legalberi, lanciò un grido di dolore alla vista dello spettacolo desolante di quel giardino abbandonato. Da quel momento, le aiuole, custodite con cura e perizia, mese dopo mese, annaffiatura dopo annaffiatura, sono rifiorite.
Dell’impianto lasciato dai lavori del project financing con l’impresa edile Salini, erano rimaste le otto Palmette (Trachycarpus fortunei) sui due lati corti, otto rincospermi (Trachelospermum jasminoides) arrampicati sulle scale di sicurezza e un solo melangolo – ancora un po’ acciaccato – per il resto, alberelli morti e un terreno ricoperto di avanzi di merende e di pranzi.

Piante e non solo. Dopo una costante pulizia, sono state messe a dimora varie specie di piante, ricollegandosi sempre alle diversità suggerite dallo stesso luogo di studi (anche se non sempre propriamente orientali). Piante donate dagli stessi soci dell’associazione, dagli amici e dai residenti del rione: uno spicchio di biodiversità in divenire.
Oggi il cortile è divenuto un giardino, piccolo miracolo botanico, dove non è raro incontrare persone che si fanno fotografare e dove possiamo trovare piante da fiore come la multicolore lantana (Lantana camaris e montevidensis originaria del Sudamerica ma anche dell’Africa), l’esplosivo agapanto (Agapanthus africanus, di origine africana ma con un nome greco, fiore dell’amore) e la bergenia cordifolia (un classico dei cortili romani che arriva dall’Asia centrale) ma anche cespugli come la nandina o bambù sacro (originaria dell’area che va dall’Himalaya al Giappone), il lemon grass (Cymbopogon citratus ampiamente usato nella cucina asiatica), il mirto ( scelto per la sua presenza nei giardini della Roma storica) e, ancora, la presenza nelle aiuole centrali rialzate di profumati agrumi come il melangolo o arancio amaro (gli arabi lo coltivano fin dal secolo IX) e il limone (Citrus limon con origini di coltivazione che partono dalla Cina, già prima della Dinastia Song, 960-1279 d.C., ma pervengono notizie antichissime anche dalla regione indiana dell’Assam e dal nord della Birmania). Proseguendo tra profumi e colori incontriamo un piccolo esemplare di melograno (Punica granatum originario di una zona che va dall’Iran fino all’India) e un melo cotogno (Cydonia oblonga era coltivato già nel 2000 a.C. dai Babilonesi), entrambi presenti nei superbi affreschi della casa di Livia (esposti nel museo di Palazzo Massimo). Nella sosta ‘esperienziale’ altre particolarità botaniche si apriranno all’occhio curioso e attento del visitatore.
Elemento prestigioso del giardino è la presenza della statua di Confucio. Proprio qui nel 2006 l’Università di Lingue Straniere di Pechino in collaborazione con l’Hanban (Ufficio Nazionale per l’insegnamento della lingua cinese come lingua straniera) e con l’Università Sapienza istituisce la prima sede in Italia e la seconda in Europa dell’Istituto Confucio con l’intento di rafforzare la cooperazione in campo didattico-scientifico e di promuovere gli scambi culturali tra Italia e Cina. E sempre qui, passando nel giardino, è possibile assistere a contaminazioni e spettacoli organizzati dall’Istituto come le musiche rituali taoiste – (quando venne il Li Maanshan Ensemble nel 2012) – o lo spettacolo di danze Indiane organizzato dall’associazione Respiro Verde Legalberi per la messa a dimora del Ficus religiosa nel 2014 (unico esemplare in un giardino pubblico di Roma).

Semi di pace. Nel 2015, sempre su iniziativa dell’associazione, si coinvolge l’assessorato all’Ambiente e l’Università Sapienza per partecipare al Kaki Tree Project. Questo è un progetto internazionale ideato da un artista giapponese e finalizzato a sensibilizzare le giovani generazioni (e non solo) sulla pace, utilizzando come veicolo di forte valore simbolico il “Kaki di Nagasaki”, una delle pochissime forme di vita sopravvissute all’esplosione nucleare del 9 agosto 1945. Dai frutti di questo albero, Masayuki Ebinuma, botanico giapponese, riuscì nel 1994 ad ottenere dei semi, che, dopo 70 anni, sono sparsi per il mondo come ambasciatori di pace.
I benefici per l’ecosistema. Un’analisi interessante e doverosa, ormai praticata in molte città anche italiane, è quella della valutazione economica dei servizi ecosistemici. Vi sono diverse modalità che hanno come obiettivo definire l’ordine di grandezza dei servizi che il mondo vegetale ci dona per le diverse tipologie di verde urbano ed extraurbano, a fronte dei differenti costi di gestione. Per cominciare ad allenarci con questi parametri, utilizzando dei valori di riferimento del metodo VET con dati al 2009, si potrebbe già dire che il giardino dell’Università con la sua piccola superficie di meno di 100m2 regala al nostro rione circa 300 euro l’anno in benefici ecosistemici.
In questo angolo di città, è evidente che la cura, la costanza e la partecipazione al bene comune hanno dato un esempio di come combattere l’inciviltà e la solitudine del degrado.

Sonia Sabbadini