Becoming NoLo, l’Esquilino di Milano

Questo è il primo di una serie di articoli con cui vogliamo allargare lo sguardo al di fuori del rione e confrontarci con realtà simili alla nostra, per trovare nuovi spunti e soluzioni, imparare qualcosa o ricordarci che qui da noi non va poi tutto così male
(Numero 44 – Bimestre nov-dic 2022 – Pagina 6)

Da zona ‘calda’ a quartiere alla moda, da sinonimo di scarsa sicurezza a epicentro culturale, da dormitorio per stranieri a esempio di inclusione e aggregazione. Nell’enorme trasformazione che ha subito Milano negli ultimi anni, con il boom economico e urbanistico post-Expo che ne fa oggi più di ieri l’unica realtà metropolitana dal look europeo, c’è un quartiere che merita una storia tutta sua.
Qui non ci sono gli sfavillanti grattacieli che luccicano nella skyline (sebbene non lontanissimi) o le aree verdi che i progetti sempre più orientati al green continuano a ricavare nei frequenti sviluppi immobiliari. Qui ci sono lunghi vialoni e palazzi, costruiti in quella che una volta era l’estrema periferia della città e dove i signori di allora edificavano le proprie ville di campagna, da raggiungere a cavallo o navigando tra le placide acque del Naviglio della Martesana o del fiume Lambro.

Il quartiere si chiama NoLo, un acronimo ideato da tre designer, mutuandolo dal quartiere SoHo di New York. Un brand nato quasi per gioco nel 2013, poi diffusosi con il passaparola e quindi divenuto virale sui social. Non ci troviamo a ‘South of Houston Street’ come nell’area che ha ospitato i migliori artisti di Manhattan, bensì a ‘North of Loreto’. Tecnicamente i confini li segnano il Naviglio della Martesana, via Leoncavallo e la Stazione Centrale. Al suo interno si sviluppano però ampi tratti di viale Monza e soprattutto di via Padova, protagonista nel corso dei decenni di una deriva che ha portato a considerarla come una delle zone più malfamate della città, se non dell’intero Paese: i nobili vacanzieri dell’800 hanno infatti a poco a poco lasciato il passo a chi si trasferiva a Milano per lavorare, prima dal Sud Italia, poi dall’Est Europa, infine dall’America Latina. La convivenza tra le diverse etnie non si è rivelata sempre facile, accompagnata da un degrado urbano dovuto all’abbandono del quartiere da parte dei milanesi benestanti. Nel nuovo millennio la situazione si è deteriorata, fino a degenerare in una vera e propria emergenza sicurezza, la stessa che vivono buona parte delle periferie ‘difficili’ delle grandi città più o meno in tutto il mondo.

Il cambiamento avvenuto grazie ad
associazioni, privati e l’appoggio delle istituzioni

Ma a Nolo qualcosa è cambiato. E non è stato solo lo storytelling messo a punto dall’ineguagliabile marketing milanese. Negli ultimi tre anni il quartiere ha vissuto una vera rinascita, confermata oggi anche dal balzo dei prezzi delle abitazioni, con le quotazioni aumentate di oltre il 50% rispetto al 2019 (fenomeno che peraltro la città sta vivendo un po’ ovunque). Il merito principale va indubbiamente alle associazioni della zona che, preso atto della situazione, hanno cercato di valorizzare, invece di demonizzare, il melting pot di nazionalità presenti edificio dopo edificio. Le istituzioni si sono poi accodate, cercando di accompagnare questo processo di rigenerazione quasi a costo zero, dal momento che la rinascita non è passata da nuovi edifici o da ristrutturazioni pesanti, ma dalle persone. Infine sono arrivati i privati.

Passeggiando lungo via Padova oggi ci si può imbattere nel giro di pochi metri in negozi cinesi, cevicherie peruviane e macellerie arabe, con un mix di odori e lingue che non hanno eguali in altre zone della città, dove gli immigrati sono invece molto più raggruppati in zone omogenee. Di certo i problemi sociali e di sicurezza non sono scomparsi da un giorno all’altro, ma il quartiere è diventato per esempio meta ideale per gli street artist. Con il supporto del Comune, che con l’inziativa ‘Muri Liberi’ ha messo a disposizione centinaia di spazi da decorare, è nato un vero distretto. I murales più famosi sono quelli di via Pontano, ma è possibile trovarne anche nelle stradine adiacenti, e richiamano oggi visitatori e tour guidati alla scoperta di questi dipinti underground.

Anche i locali, in prevalenza a gestione italiana, si sono moltiplicati. Piazza Morbegno è diventata il centro della movida, i cocktail bar della zona si sono fatti improvvisamente trendy, il Parco Trotter ha visto aumentare esponenzialmente le iniziative culturali e sportive e dopo decenni di abbandono ha visto partire finalmente un piano di recupero. Ed è a questo punto che sono arrivati anche gli sponsor, per finanziare gli interventi di riqualificazione, e quindi gli investitori immobiliari. Perfino il merchandising di NoLo attira turisti e non.
In questo contesto, non mancano gli scettici, quelli che sostengono che in fondo non è cambiato granché rispetto a prima, ma è solo una moda. Così come vi sono alcuni residenti secondo i quali, al contrario, la narrazione degli ultimi 20 anni era troppo ‘punitiva’ nei confronti di via Padova, zona delicata sì, ma non la favela che qualcuno sbandierava, magari per fini politici. Allo stesso tempo, sulla scia di questa rinascita all’orizzonte si profila un altro pericolo: c’è chi teme l’effetto ‘gentrificazione’, quel fenomeno che ha già colpito nel mondo molte aree post-industriali, trasformate da malfamate a ‘place to be’, con conseguenti aumenti degli affitti e del costo della vita e perdita di identità, standardizzazione dell’offerta, a scapito della tradizione. Sarebbe un peccato.

Valerio Stroppa