I costumi “slow” che vestono i teatri e le Olimpiadi

Foto di Luca Ferrante

Nel laboratorio di costumi per cinema e teatro di via Carlo Botta, la migliore tradizione si coniuga con l’efficienza
(Numero 23 – Bimestre gen-feb 2019 – Pagina 9)

La formula è semplice quanto geniale: confezionare un prodotto sartoriale, individuando la migliore maestranza sulla piazza, per fare bene e nel modo più efficiente. È stata ed è questa la filosofia di (S)Lowcostume, Laboratorio per la realizzazione di abiti per cinema, televisione ma, soprattutto, per teatro ed eventi. Da 11 anni in via Carlo Botta: più di una bottega ma, sicuramente, non una fabbrica, cioè il giusto compromesso tra artigianalità e forma imprenditoriale avanzata. Ma andiamo con ordine.
Costumisti per vocazione e organizzazione doc. Tutto parte da un garage, ma nessun punto in comune con le classiche storie delle start-up tecnologiche della Silincon Valley. Lowcostume nasce in questo grande locale all’inizio della strada, dove, 40 anni fa, c’era un garage. Dopo aver abbassato la saracinesca, era stato sostituito da un supermercato di surgelati, che a sua volta ha chiuso e ha lasciato lo spazio deserto per 20 anni. Parallelamente, cominciava la carriera di costumiste di Giovanna Buzzi e Silvia Aymonino, la prima nata a Milano ma monticiana da quaranta anni; la seconda nata nella Suburra e poi trasferitasi con convinzione all’Esquilino “da sempre malfamato, non ci si andava per nessun motivo. Poi con gli anni e l’immigrazione, checchè se ne dica, è molto migliorato”. Giovanna Buzzi, due premi Abbiati – nel 1990 per il “Ricciardo e Zoraide”, regia di Luca Ronconi per il Rossini Opera Festival, e nel 2005 per il “Walkure”, regia di Federico Tiezzi per il Teatro San Carlo di Napoli – ha realizzato i costumi per lo spettacolo di chiusura delle Olimpiadi Invernali di Torino del 2006. Assistente di Pier Luigi Pizzi dal 1985 al 2005, ha sempre lavorato con la Sartoria Tirelli, e curato le realizzazioni e produzioni dei costumi nei teatri.
Silvia Aymonino, nata a Roma, vissuta a Venezia, accento incerto “nordica di testa e romana nel cuore”, lavora come costumista dal 1992 nell’opera, nella prosa e nei grandi eventi. Professionalmente, nasce anche lei presso la sartoria Tirelli, di cui è stata dipendente e poi assistente del direttore. Ha frequentato i maggiori teatri italiani ed internazionali, collaborando, come costumista, con registi quali Luca Ronconi, Damiano Michieletto, Leo Muscato, Lorenzo Mariani, Massimo Popolizio. La sua occupazione principale negli ultimi anni è stata la produzione e l’organizzazione dei costumi delle olimpiadi di Torino, Sochi, in parte Londra e Rio de Janeiro.
Insieme con i due soci Odino Artiol, amministratore della società, e Massimo Pieroni, socio di capitali, danno vita a Lowcostume.

Centomila abiti in modo “Slow”. Oggi la Slowcostume è un nuovo modo di pensare i costumi esplorando nuove rotte. “Ogni lavoro per noi è un viaggio alla ricerca delle soluzioni più giuste, meglio realizzate e più economiche” ci racconta Silvia. “Abbiamo iniziato questa avventura durante la crisi del 2006, quando la tendenza era al low cost. Poi, strada facendo, abbiamo capito che la gestione dei prezzi, il ‘low’, poteva e doveva sposarsi con la migliore qualità possibile: da qui il cambio in Slowcostume”. Oggi realizzano costumi d’epoca e moderni, sia pezzi unici, sia grandi quantità, per noleggio e vendita. E non si stenta a crederlo, dal momento che un’ala intera del laboratorio ospita cappelli di ogni sorta, “non possiamo esporli tutti, ma è impossibile tenerli chiusi in una scatola”, e costumi suddivisi per epoche.
Cosa vuol dire acquisire rapporti con maestri artigiani ed aziende, in tutte le regioni d’Italia e all’estero, per garantire il migliore dei risultati sul piano quali-quantitativo? “Vuol dire, ad esempio, che, se ci commissionano dei kilt, li facciamo fare in Scozia, dove il risultato sarà sicuramente eccellente per tradizione, senza obbligare maestranze nostrane a inventarsi da zero il modo di confezionarli qui. E lo stesso può valere per le tuniche, prese in Tibet, o i kimono in Giappone”. Un metodo vincente, rapido il giusto se ben organizzato, che si affianca al lavoro artigianale, che ferve nel laboratorio, dove si incontrano giovani e meno giovani, dipendenti, collaboratori e stagisti che creano, cuciono, tagliano, dipingono e sperimentano. Col sorriso sulle labbra. Alle spalle, centomila abiti realizzati, gli eventi delle Olimpiadi di Torino, Sochi, Rio de Janeiro: tutto sintetizzato in una dichiarazione di amore e gratitudine per questo lavoro e i propri collaboratori, su un foglio alto 170 cm, scritto a mano da Giovanna e appeso nello studio, cioè l’ex guardiola del vecchio garage i cui locali sono tornati alla vita, dando linfa al rione. Quel rione che, secondo Silvia, necessita di un presidio continuo “Non si può arretrare. Ogni volta che chiude un’attività o si demolisce un edificio storico, come l’Apollo, non nasce più niente, come gli alberi tagliati e mai sostituiti”.
D’altronde, basterebbe applicare all’Esquilino la filosofia del laboratorio: ognuno dovrebbe occuparsi di ciò che sa fare meglio, senza inventarsi altro, e offrire alla comunità il meglio di sé.

Silvio Nobili