Massimo Di Michele: “Più i testi sono complessi, più mi sento libero di esprimere le mie sensazioni”

L’attore, che si è formato al Piccolo di Strehler e ha lavorato con Ronconi e Tornatore, definisce l’Esquilino uno “spettacolo a cielo aperto”
(Numero 6 – Bimestre mar-apr 2016 – Pagina 5)

Attualmente sei in scena con “Faust Marlowe Burlesque” che ti vede impegnato in vari teatri italiani in veste di regista e attore. Cosa ti ha spinto a riproporre l’opera scritta ormai quasi trent’anni fa da Aldo Trionfo e Lorenzo Salveti per Carmelo Bene e Franco Branciaroli?
Come regista sono sempre stato attratto da testi difficili, a volte quasi incomprensibili, ma ricchi di suggestioni e spunti di riflessione. Penso non solo al “Faust Marlowe Burlesque” ma a “Besame Macho” di Villora, o a uno dei capolavori di Pasolini, “Orgia”. Ma ce ne sono anche altri, come “Il bello degli animali” di Garcìa. Nel Faust il gioco di seduzione reciproca, di scambio identitario fra i personaggi, è un elemento di grande suggestione, sia recitativa siascenica. Poi mi sembrava doveroso far conoscere e ricordare a tutti un grande maestro del teatro italiano, Aldo Trionfo.
Mi sembra di capire che quello dell’identità e dello sfumarsi dei confini identitari è un tema a te caro. C’è un discorso che si dispiega attraverso le opere che hai scelto di portare in scena in veste di regista?
Per decidere di fare una regia devo avere una motivazione molto forte, che nasca dallo stomaco, un’esigenza vera e propria. Mi spiego meglio: io sono un attore e continuo a fare l’attore, solo quando ho questa vera “esigenza” mi metto a lavoro su un progetto. Mi piace usare il testo teatrale come “contenitore” delle mie emozioni-visioni, un “luogo” dove affogare la mia immaginazione, una tela bianca dove dipingere, più le opere sono complesse, più mi sento libero di esprimere le mie sensazioni. Ma quello che mi attrae sempre di più è il lavoro sul corpo, quindi un’espressione artistica complessa. Il corpo nella purezza e astrazione visiva, un mondo complesso ed infinito.
Nei tuoi primi lavori da regista hai portato in scena temi come la precarietà, il lavoro e la libertà d’espressione. Con “Il bello degli animali è che ti vogliono bene senza chiedere niente” hai affrontato anche il tema dell’eutanasia. Cosa ti ha colpito di più nel testo di Rodrigo Garcìa?
Il titolo è certamente ingannevole perché, in realtà, si tratta di un testo estremamente attuale che parla di morte, dignità e malattie. È un testo crudele e contemporaneo, che sostanzialmente alla fine parla di eutanasia, un tema scottante che fa subito pensare ad Eluana Englaro, e a tanti altri. “Il bello degli animali” non ti dà un luogo, non un tempo, non una storia ben precisa. I personaggi non si sa chi siano, né da dove vengano, non hanno un passato e parlano sempre di presente. È un testo difficilissimo perché non ti puoi appigliare a niente.
Nell’Italia del terzo millennio si parla di diritti civili solo sulla scia di onde mediatiche?
In Italia siamo veramente molto indietro sui diritti civili, non vorrei spingermi oltre, divento cattivissimo, ma questo Paese è governato da persone assolutamente impreparate sul tema, che governano solo a furor di sondaggi. Pochi giorni fa è stato fatto un piccolo passo sulle unioni civili. Certo manca un pezzo molto importante ma qualcosa è accaduto. La strada è ancora lunga. Fondamentalmente qui vince la Chiesa cattolica su tutto. Non aggiungo altro.
Da anni vivi all’Esquilino. Ti è mai capitato di assistere a qualche episodio che definiresti “teatrale”?
Questo rione è uno “spettacolo a cielo aperto”, sia per la bellezza, nonostante da anni sia molto trascurato, sia per le scene che mi capita di vedere per strada. Basta andare al mercato ed è veramente teatro puro, adoro follemente quel posto. Si respira un’aria magica qui, non voglio risultare patetico ma questo è il vero centro di questa “metropoli”.
Quale aspetto del nostro rione ti piace di più?
Mi piacciono le persone, i loro volti segnati dalla vita, è un quartiere di gente che lavora, molti cosiddetti “stranieri”, quindi parliamo di persone che faticano… ma anche molti artisti, nomi di grande prestigio. Insomma, io amo questo rione!
Progetti per il futuro?
Continuare a fare questo mestiere, visto che è sempre più difficile farlo. Della cultura importa veramente a pochi, in particolar modo a chi ci governa. Quindi spero di occuparmi di teatro ancora per molto! Ho tante idee in testa..,

Antonia Niro