Quando il servizio pubblico sposa il terzo settore

Da anni, la Asl Roma 1 collabora con il privato sociale per l’assistenza socio-sanitaria alle fasce deboli
(Numero 20 – Bimestre lug-ago 2018 – Pagina 4)

Poliambulatorio di via Luzzatti 8, sede della Asl Roma 1: oltre un milione di potenziali utenti su un territorio che copre sei municipi. Al piano d’ingresso, sulla destra, si trova quella che viene chiamata “Area salute migranti”: sono gli spazi del Centro SaMiFo, per la salute dei migranti forzati, quelli, cioè, che scappano dalla guerra o dalle persecuzioni e che, per questo, hanno diritto alla protezione internazionale.

Una collaborazione sinergica. Nato da un protocollo d’intesa tra il Centro Astalli e la stessa Azienda Sanitaria, con la collaborazione dei medici di base convenzionati con il sistema sanitario, il punto di forza del Centro SaMiFo è proprio la rete di competenze professionali e di diversi soggetti pubblici e privati, che, in sinergia, ne consentono quotidianamente la realizzazione. Si tratta di uno dei migliori esempi nel Lazio di collaborazione tra associazionismo sociale privato e struttura pubblica. Il Progetto ha come finalità la prima accoglienza e l’orientamento degli immigrati per quanto riguarda la loro domanda di salute. “Ci facciamo carico delle persone che si rivolgono a noi, per tre anni – spiega Giancarlo Santone, responsabile dell’Unità Operativa preposta al servizio – Poi dovranno seguire percorsi di autonomia”. Agli sportelli, un gruppo di mediatori culturali del Centro Astalli riceve i pazienti che, in base alle problematiche emerse, vengono inviati ai due medici di base presenti nell’area, oppure all’assistente sociale, agli infermieri e, all’occorrenza, allo psicologo o allo psichiatra o alla ginecologa. Ogni anno, sono oltre duemila le persone che si rivolgono al servizio, provenienti prevalentemente dall’Africa.
Il Banco della Salute. Ma all’Esquilino e in particolare sul tema dell’immigrazione, la propensione all’azione sinergica tra diverse professionalità e, soprattutto, tra ente pubblico e terzo settore, parte da lontano. È dei primi anni ’90 – presso quella che si chiamava Unità Sanitaria Locale e insisteva solo sul centro storico – la nascita dell’Agenzia Immigrati, fortemente orientata al rapporto con il territorio e alla creazione di reti con l’associazionismo privato. E sempre in quegli anni prende l’avvio il GrIS Lazio(Gruppo immigrazione e salute), una rete di rilevanza regionale, che oggi conta oltre 60 organizzazioni che si occupano di salute e comprende aziende del sistema sanitario regionale e una serie di associazioni, grandi e piccole, del terzo settore. Il GrIS opera in collaborazione con la Regione Lazio, con il compito di segnalare all’istituzione le criticità, ma anche di avanzare delle proposte. “Noi pensiamo che la salute non riguardi solo la sanità, solo i medici – ci dice Filippo Gnolfo, responsabile della UOSD Salute Migranti della Asl Roma 1 – ma tante professioni, anche quelle che possono sembrare più lontane, dall’antropologo al sociologo, al giurista. Inoltre, per noi, la cifra è sempre stata quella di stabilire rapporti con il territorio e creare reti”. Da queste esperienze e in quegli anni, prende l’avvio la collaborazione con la Caritas, il Centro Astalli, l’Inmp, la Casa dei Diritti Sociali. Tra i progetti nati dalla collaborazione tra la Asl Roma 1 e la Caritas, c’è il Banco della Salute, un’iniziativa che, peraltro, ha un impatto non solo sui migranti: due venerdì del mese, si allestisce un tavolo presso il Mercato Esquilino, dove operatori della Caritas e della Asl si alternano per fornire orientamento ai servizi sanitari. Le giornate, in particolare, sono dedicate rispettivamente alla salute della donna e alla prevenzione cardiologica e diabetologica.
L’intervento sull’edificio occupato di via di Santa Croce. Sempre in un’ottica di rete, in questo caso tra Asl e servizi territoriali, è stato realizzato un intervento socio-sanitario presso l’edificio occupato di via di Santa Croce in Gerusalemme. L’azione è nata nel quadro di un piano della Regione Lazio, in collaborazione con il Municipio Roma I e ha visto il coinvolgimento di oltre 200 persone tra gli occupanti dello stabile, stranieri e italiani. L’iniziativa si è articolata in quattro giornate a tema sulla salute della donna, del bambino, sulle malattie croniche e riguardo all’accesso ai servizi. “Abbiamo presentato i servizi sanitari che offre il territorio – dice ancora Gnolfo – dal consultorio al centro vaccinale, dal poliambulatorio Luzzatti al poliambulatorio Caritas di via Marsala: da quegli incontri si è sviluppato un rapporto che ancora continua”.
L’ultimo rapporto dell’Osservatorio Romano sulle Migrazioni, presentato recentemente, contiene il contributo che il gruppo di lavoro della Asl Roma 1 sta dando alla progettazione di una rete di servizi per l’accoglienza degli immigrati e delle fasce deboli della popolazione. La filosofia alla base delle linee metodologiche proposte è quella di superare la tendenza a considerare l’immigrazione e, più in generale, l’intervento socio-sanitario sulle fasce deboli, in termini di emergenza, per ripensare il fenomeno come strutturale. “Si tratta di far acquisire all’organizzazione sanitaria una nuova competenza culturale – spiega Elisabetta Confaloni, collaboratrice al progetto – intesa come la capacità di saper vedere i bisogni delle persone e partire da quelli”.
“La città di Roma è attraversata da flussi diversificati e presenta una realtà molto frammentata – conclude Gnolfo – e questo sta portando a situazioni di povertà estrema, di vera esclusione sociale. La sovrapposizione tra povertà, disagio abitativo e disoccupazione ha portato alle baraccopoli, all’occupazione di edifici, fino alla dimora su strada”. Il rione Esquilino, certamente, non è esente dal fenomeno, ma queste esperienze dimostrano che gli anticorpi ci sono e sono tali da tradurre le criticità in forme di arricchimento sociale e culturale.

Paola Mauti