Una tempesta perfetta di responsabilità diffuse

Per Alessandro Gilioli, vicedirettore de L’Espresso, l’incapacità dell’amministrazione e la rassegnazione dei cittadini conducono al declino della città. Una condizioneda cui non sarà facilevenir fuori
(Numero 24 – Bimestre mar-apr 2019 – Pagina 5)

Alessandro Gilioli, oltre che vicedirettore de L’Espresso, è residente nel rione da anni. Il suo blog ‘Piovono rane’ è tra i più seguiti ed apprezzati d’Italia. Tratta di attualità, di politica e del mondo dell’informazione. In una mattinata di sole, nella cornice dei giardini di viale Carlo Felice, lo incontriamo per parlare del rione e della città.

Esquilino, Roma, l’Italia. Seguono dinamiche diverse o sono tre facce della stessa realtà?
Ci sono alcuni aspetti comuni ed altri diversi. L’Italia è costituita prevalentemente da ‘provincia’ (l’80 per cento della popolazione vive in centri con meno di 250 mila abitanti) e anche da molte ‘aree dimenticate’: insomma luoghi molto diversi – e con problemi diversi – rispetto a noi che stiamo nel centro di Roma. Ci sono tuttavia elementi in comune: innanzitutto, un diffuso disagio dei ceti sociali medi e mediobassi, che hanno subito le dinamiche economiche degli ultimi 30 anni.
Le nuove tecnologie hanno radicalmente modificato sia il mondo del lavoro, sia l’urbanistica – pensiamo alla diffusione dei B&B, qui da noi – sia le aspettative delle persone. Un fenomeno che si è declinato in modo diverso nelle province, nelle metropoli, nelle periferie e anche all’Esquilino. In generale, nel passato recente, la cifra caratteristica era la speranza di miglioramento. Oggi c’è invece nostalgia del passato e paura del nuovo, perché oggi la prospettiva è di peggioramento. Una paura che, seppur giustificata, provoca effetti negativi nel vivere comune.

Come si declina questo nel nostro territorio?
L’Esquilino si trova in una terra intermedia. Non siamo la Roma più patinata, quella di piazza Navona, dei palazzi della politica, del rione Monti. Ma non siamo neanche la Roma della Bufalotta, di Tor Pignattara o del quadrante est con tutti i suoi problemi. Da un lato subiamo alcuni problemi di disagio economico, psicologico e urbanistico caratteristici delle periferie. Dall’altro viviamo in un’area, quella del primo municipio, dove l’attenzione delle istituzioni è comunque maggiore. Stiamo meglio delle periferie dal punto di vista della socialità diffusa, dei locali, dei punti di ritrovo e forse anche dei trasporti pubblici, grazie soprattutto alle metropolitane. Non abbiamo però la stessa ‘vetrina’ che ha il centro storico, o anche Prati. Anche in termini di criminalità e abbandono sociale siamo messi meglio delle periferie, ma peggio del centro storico vero e proprio. Poi, certo, subiamo il degrado che sul trasporto subisce tutta la città. Quindi i problemi sono simili a quelli che, con poche eccezioni, ha il resto di Roma. Aldilà delle problematiche strutturali, le criticità maggiori sono quelle legate al traffico, alla mobilità e alla qualità della ‘strada’ nel suo complesso, intesa come rifiuti, buche e tutti gli altri aspetti che conosciamo benissimo. Alcuni imputano questo stato di abbandono esclusivamente all’attuale giunta comunale; io credo invece che il declino della città – dove vivo da 17 anni – sia un combinato disposto fra una amministrazione oggettivamente scarsa, come lo sono state anche molte delle precedenti, e un atteggiamento dei cittadini che è ormai di rassegnazione. Questo mix di corresponsabilità dall’alto e dal basso impedisce che si crei quella dinamica positiva che si è creata in altre città, in cui i cittadini aiutano l’amministrazione e l’amministrazione aiuta i cittadini. Qui la spirale è negativa da parte di entrambi. E questo lo vediamo tutti i giorni anche nel nostro rione.

Ma vedi anche qualche nota positiva?
Ci sono sempre anche i segnali positivi, di comportamento. Banalmente, oggi non è più socialmente accettato che si lasci defecare i cani sui marciapiedi, chi lo vede il più delle volte dice qualcosa. Ma il grosso del vivere comune è improntato alla rassegnazione. Per esempio: lascio la macchina in doppia fila, tanto cosa me ne frega se così aumenta il traffico, peggioro la mobilità, danneggio i miei polmoni e quelli dei miei figli? Oppure: sfreccio col motorino sul marciapiede senza pensare che da un portone può uscire un anziano, un bambino, un disabile. Non abbiamo l’abitudine di pensare alla società nel suo complesso. Questo vuol dire peggiorare la nostra stessa vita. Non ce ne rendiamo conto perché siamo in un mood di rassegnazione anziché di costruzione. Questo, associato ad amministrazioni scarse e scarsissime, crea il combinato di cui dicevamo. Questa giunta non è migliore né peggiore delle altre, ma ha fatto l’errore di creare delle grosse aspettative per poi deluderle totalmente.

La nostra associazione ha partecipato alla raccolta di firme per l’introduzione dell’educazione alla cittadinanza nelle scuole. La sensazione è che il senso civico della popolazione fosse maggiore in passato rispetto ad oggi. Quanto dici sembra confermarlo.
È calato perché c’è più egoismo e meno senso della società. Non abbiamo l’idea di vivere in uno Stato, in un insieme. Ciascun per sé e Dio per tutti. Alcuni ne attribuiscono la responsabilità ad un’unica causa, ma sono semplificazioni. Quelli di oggi danno la colpa a chi c’era prima e viceversa. La realtà è un po’ più complessa. C’è una tempesta perfetta di responsabilità diffuse. La politica per ottener consenso non fa educazione civica o pedagogia diffusa, anche severa. Nessun sindaco, ad esempio, ha mai avuto il coraggio di fare una vera politica repressiva contro il parcheggio selvaggio e le auto in seconda fila. Se lo fai ti trovi la gente contro. Tutti i candidati sindaci, tre anni fa, avevano promesso di combattere l’evasione tariffaria sui mezzi pubblici – che a Roma è stimata sul 40 per cento, tra le più alte d’Europa – e si è visto pochissimo. Evasione tariffaria vuol dire meno soldi all’Atac e meno autobus, tram e servizi per tutti. Più in generale, nessuna giunta ha avuto il coraggio di rovesciare la mobilità urbana a favore del mezzo pubblico. Il risultato è che i mezzi pubblici non funzionano perché c’è il traffico privato e la gente usa i mezzi privati perché non funzionano i mezzi pubblici. È una spirale che non porta da nessuna parte.

Riccardo Iacobucci