UNHCR, due Nobel per la pace nel rione Esquilino

Umanità e dignità per tutti, è questo il difficile compito che la storia ha assegnato ad un ente nato da una costola della convenzione di Ginevra
(Numero 36 – Bimestre giu-lug 2021 – Pagina 6)

Forse non tutti sanno che l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha riunito i tre uffici in cui operava a Roma concentrandoli in un’unica sede in via Leopardi, nel rione Esquilino.
L’UNHCR è un ente diplomatico dell’ONU che tutela i diritti dei rifugiati in tutto il mondo. La sua nuova sede non è certo un centro d’accoglienza, ha invece la duplice funzione di concentrare in un unico luogo personale esperto nel guidare e coordinare la protezione dei rifugiati, le azioni necessarie per garantire il loro benessere, e di fornire uno sportello per rifugiati richiedenti asilo aperto ogni martedì.

Un ente nato nel 1950,ma oggi più che mai
se ne sente il bisogno

L’UNHCR è stato istituito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 14 dicembre 1950 e per il suo meritorio lavoro – sempre a fianco di chi è obbligato a lasciare la prorpia terra, gli averi ed i propri cari – è stato insignito di ben due premi Nobel per la pace nel 1954 e nel 1981.
Uno dei compiti di maggior rilevanza di UNHCR è aiutare i rifugiati a tornare nella propria terra d’origine, nel caso le condizioni di sicurezza personale siano garantite, oppure ad essere accolti nel paese dove hanno trovato ricovero o in un paese terzo. In caso di emergenza, l’UNHCR porta soccorso attraverso i propri operatori, fornisce acqua, cibo, tende, assistenza medica e psicologica e garantisce l’accesso all’istruzione, alla formazione e alle attività generatrici di reddito.
Umanità e dignità per tutti, questo il proibitivo compito che ha assegnato la storia ad un ente nato da una costola della convenzione di Ginevra e di cui oggi riveste il ruolo di ‘guardiano’. Nato con lo scopo di portare aiuto ai cittadini europei fuggiti dalle loro abitazioni durante la seconda guerra mondiale, avrebbe dovuto operare per tre anni ed invece, dopo oltre settanta, sentiamo più che mai come necessario il suo aiuto ed intervento nelle aree in cui le continue crisi umanitarie provocano forzati flussi migratori.
Accecati da un profuso senso di sicurezza, dato da una pace lunga e al momento duratura che hanno vissuto alcuni paesi europei – se si escludono aree circoscritte come ad esempio i Balcani – e da una situazione di sovrabbondanza alimentare in cui molti oggi vivono, è facile dimenticarsi di quando i profughi eravamo noi europei, non solo nell’immediato dopoguerra ma per esempio nel 1956 quando, con l’esodo seguito alla repressione della rivoluzione ungherese da parte delle forze armate sovietiche, 200.000 persone fuggirono verso l’Austria. Anche in quel caso l’UNHCR dovette far fronte ad un’importante crisi.

Possiamo ancora credere negli esseri umani

Vorrei che mi fosse concessa una nota personale a margine di questo articolo. In tempi così bui, dove si coniano termini orribili come ‘buonista’ – che altro non indica che una persona buona vista dal punto di vista di chi è affetto dal più pericoloso degli handicap, cioè la mancanza di un cuore – io, da abitante dell’Esquilino, da residente a Roma ma soprattutto come essere umano, mi sento orgoglioso di vivere in un quartiere (chiamatelo rione se lo preferite) che ospita un ente che sta dalla parte degli ultimi, di chi soffre, di chi ha tutto il diritto di ricostruirsi una vita per andare avanti. E parafrasando le parole di Lino Bordin, storico operatore dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e residente Esquilino, ‘Ancora credo nell’essere umano, pur riconoscendone l’indole pericolosa e rapace’.

Mario Carbone