Borromini, genio ribelle al Laterano

Nel corso del Seicento, la basilica più importante di Roma ha conosciuto l’arte e i colpi di testa del grande architetto ticinese
(Numero 44 – Bimestre nov-dic 2022 – Pagina 10)

Il territorio esquilino è di antica frequentazione e nel corso del tempo, dall’epoca degli antichi romani ai nostri più recenti tempi moderni, ha visto impegnati numerosi architetti, romani e non, che hanno progettato e realizzato palazzi e mausolei, chiese e monasteri, case generalizie e ville aristocratiche, con monumentali fontane e magnifici giardini, per conto dei ricchi esponenti delle classi dominanti, dagli imperatori ai senatores, dai nobili patrizi ai pontefici e agli alti prelati.

Tra i tanti architetti che lavorarono a Roma realizzando pregevoli architetture in questo territorio, occupa un posto di primissimo piano il ticinese Francesco Castelli (27 settembre 1599 – 2 agosto 1667), meglio conosciuto come Francesco Borromini, ‘il grande genio del barocco’ – inviso ai più per i suoi modi sgradevoli e di suscettibilità eccessiva – che pose fine alla sua vita in un disperato gesto di estremo autolesionismo.

Francesco Borromini ha legato il suo nome anche alla basilica lateranense, sede effettiva del papato per oltre un millennio fino al suo trasferimento in San Pietro in Vaticano. San Giovanni in Laterano permane comunque la cattedrale di Roma,’caput et mater omnium ecclesiarum’, ed è la chiesa della cristianità che dal punto di vista liturgico mantiene il ruolo più alto, ospitando la cattedra papale, dove soltanto il pontefice può sedersi come successore di san Pietro. La basilica è parte integrante del complesso lateranense, costituito da fabbriche di diversa tipologia e datazione. Fondata ai tempi dell’imperatore Costantino, negli anni in cui pontefice era Silvestro, dal 314 al 335 d.C., è stata rinnovata nel corso dei secoli con importanti trasformazioni, soprattutto alla fine del Cinquecento con Domenico Fontana per volere di papa Sisto V Felice Peretti.

Innocenzo X nel 1646 affida il restauro al Borromini

Nell’ambito di questa continuo riadattamento, Francesco Borromini viene incaricato nel 1646 da papa Innocenzo X, in occasione dell’Anno santo del 1650, di restaurare la basilica lateranense che, pur minacciando ‘ruina’, deve comunque restare il più possibile ‘nella sua primitiva forma’. Borromini, rinunciando quindi ad un suo primo progetto – che prevedeva tra l’altro una ‘piazza in forma di
teatro’ – nel rispetto dell’impianto costantiniano, accorciato di cinque metri, trasforma la navata paleocristiana rimodellandola in cinque navate, con la navata centrale progettata come una grande aula, segnata dal bianco degli stucchi e dal verde delle antiche colonne. Le antiche mura vengono rivestite in mattoni con paraste giganti tra le quali, in alto, trovano posto le edicole degli apostoli con il timpano impreziosito dalla colomba, simbolo di papa Innocenzo X Doria Pamphilj. Borromini mantiene anche il transetto, rinnovato già nel Cinquecento da Giacomo Della Porta e affrescato da importanti artisti tra cui il Cavalier d’Arpino e Orazio Gentileschi. Lungo le navate minori vengono sistemati i monumenti funebri preesistenti, riutilizzati in chiave decorativa e simbolica.

L’abbandono dei lavori per una ‘questione d’onore’

Borromini però non riuscirà a completare il suo incarico: rifiutandosi di montare le porte di bronzo e l’altare maggiore per un suo ‘stimolo d’honore’, fuori di sé per avere ‘perso’ l’incarico all’Oratorio dei Filippini alla Chiesa Nuova, abbandona il cantiere della basilica lateranense senza preavviso, facendo sapere al successore di Innocenzo X, il senese Alessandro VII Chigi, di non volerli mai più riprendere. Ed il papa, indispettito, che già non apprezzava Borromini preferendogli Gian Lorenzo Bernini, gli toglie l’incarico sostituendolo con Pietro da Cortona, il geniale pittore divenuto architetto, che sarà assieme a Gian Lorenzo Bernini e allo stesso Borromini, uno dei tre massimi interpreti del barocco romano, autore di alcune delle più celebri creazioni artistiche di Roma e Firenze.

Carmelo G. Severino