Guidi, la classe d’altri tempi

È uno dei negozi più antichi del rione. Qui si vendevano ghette, cappelli e giarrettiere
(Numero 18 – Bimestre mar-apr 2018 – Pagina 10)

Su via Principe Eugenio, molti negozi, soprattutto nell’ultimo tratto della strada, quello che affaccia su piazza Vittorio, hanno eliminato l’insegna. Anche per questo, “Abbigliamento A. Guidi” si fa notare: in qualche modo spicca con il suo filo a neon di un bel verde brillante. “A.” sta per Armando, il fondatore della ditta, colui che nel 1918 ha aperto, con la moglie Elena, proprio qui. Ma sta anche per Alfredo, suo figlio, che è molto anziano e che, da qualche anno, non lavora più anche se, formalmente, rimane l’attuale titolare. Le redini dell’attività le ha prese il figlio di quest’ultimo, al quale Alfredo ha voluto dare il nome del nonno.
Da cento anni all’Esquilino. L’avventura di nonno Armando e di nonna Elena inizia quando, appena sposati, decidono di andare in Sud America, in Uruguay, a lavorare nel negozio dei genitori di lui, una bottega di abbigliamento. In Uruguay nasce il primo dei loro due figli, poi decidono di tornare in Italia e avviano la stessa attività in via Principe Eugenio. A quell’epoca il negozio era più piccolo e la vetrina, stretta, esponeva pochi prodotti. L’aspetto attuale risale al 1937, quando fu fatta la prima ristrutturazione: la nuova insegna, che ancora c’è; uno spazio un po’ più ampio; scaffali di legno, due tavoli con il cassetto da esposizione.

Armando junior ci accoglie con un sorriso cordiale, ma che non maschera un pizzico di diffidenza: lui è abituato a lavorare sodo e non ama raccontarsi. Si è preso una laurea in ingegneria edile e per venti anni di quel titolo ha fatto la sua professione. Ma non ha mai smesso di lavorare nel negozio, dove, fin da bambino, dava una mano a papà Alfredo. “Ho frequentato l’università solo il primo anno – racconta – Poi non ho avuto più il tempo, perché l’attività mi rubava tante ore: spesso stavo in negozio, ma mi occupavo soprattutto dei servizi esterni: banche, pagamenti”. Eppure si è laureato con solo due anni di ritardo. La famiglia, da più generazioni, ha sempre vissuto nel rione. Anzi, l’appartamento dei nonni era sopra il negozio e c’è ancora un antico citofono con il quale, dalla bottega, si poteva comunicare con l’abitazione.
“Abbigliamento” d’altri tempi. La categoria merceologica in vendita è sempre stata la stessa: “abbigliamento”. Ma oggi chi sa che quella, tradizionalmente e ai tempi dei nonni, identificava prodotti come calzini, cappelli, ghette, giarrettiere, guanti, ombrelli e non “abiti confezionati”? Oggi, quella tipologia di negozio di abbigliamento è sostanzialmente scomparsa. Per molto tempo gli affari, per i nonni Armando ed Elena, sono andati molto bene. I periodi più floridi sono stati gli anni successivi alle due guerre, quando la gente aveva voglia di ricominciare e, dopo tante ristrettezze, si dedicava volentieri all’acquisto di beni, anche non del tutto essenziali. Il carico di lavoro e l’organizzazione dell’azienda erano molto diversi. “Durante il periodo fascista – dice Armando – una grande parte del lavoro era costituito da una serie di mansioni burocratiche, di cui si occupava personalmente il nonno: ad ogni acquisto bisognava registrare quale merce era stata venduta, a che prezzo, con le generalità del cliente”. A quell’epoca, in negozio era necessaria la presenza di più commessi e la signora Elena, anche se doveva occuparsi di due bambini piccoli, veniva spesso chiamata con il citofono e raggiungeva il marito per dare una mano. “Un tempo c’era molto più lavoro: qualche decennio fa, il negozio alcune sere restava aperto anche fino a mezzanotte” continua Armando, “perché la strada e piazza Vittorio erano tra le zone della città rinomate per lo shopping. Allora si aspettava, con il negozio aperto, la fine degli spettacoli teatrali, quando molte persone si dedicavano al passeggio e agli acquisti. E chi frequentava il teatro era, normalmente, benestante”.
Ricordi d’infanzia e futuro. Anche il piccolo Armando, fin da bambino, dava una mano, ma la sua attenzione era rivolta più alla vita del rione, alla strada, che alle attività del negozio. “L’Esquilino era completamente diverso: c’erano attività ora scomparse, come il negozio di “vini e olii”, dove i prodotti venivano venduti sfusi; il carbonaro; Peppino, che ogni giorno faceva il giro della piazza e dei negozi per prendere i cartoni, che poi rivendeva. E c’era il mercato nella piazza, dove i venditori lavoravano fino alle prime ore del pomeriggio e poi smontavano e riponevano i banchi nelle rimesse che si trovavano nelle vie vicine”. Morto il marito, la bottega è stata gestita per molti anni da nonna Elena che, con l’aiuto del figlio e del nipote, ha lavorato fino ai primi anni ’80. Oggi nel negozio è impegnato solo Alfredo: le sue due sorelle si dedicano, da tempo, a professioni diverse. “Il sabato pomeriggio il negozio è chiuso, perché faccio visita a mio padre, che si è ritirato nella sua abitazione ad Albano”, dice Armando. E non sa se, quando lui lascerà, qualcuno porterà avanti l’attività: anche i suoi figli, come le sorelle, hanno fatto, almeno per ora, altre scelte di vita.

Paola Mauti