Il rione più vivo, il più maltrattato

Zakaria Yahaya racconta la sua esperienza di abitante e lavoratore di origine straniera all’Esquilino
(Numero 2 – Bimestre lug-ago 2015 – Pagina 5)

Nato in Niger, arriva in Italia negli anni novanta, prima con un visto turistico di tre mesi, poi con un regolare contratto di lavoro di due anni. Zakaria Yahaya ripercorre l’inizio, quando ha mosso i primi passi nel nostro Paese. E’ nel 1999 che a Milano conosce Antonietta, con la quale si sposa, e si trasferisce a Roma. Qui avviano “Agadez”, un’attività artigianale di creazione di gioielli etnici che valorizza i saperi di entrambi. Parte della produzione viene dal Niger anche per aiutare la sua comunità di provenienza.
Zakaria ha ottenuto la cittadinanza italiana e si sente integrato non solo in Italia ma soprattutto nel rione dove vie.
Noti delle differenze rispetto a quando sei arrivato?
Molto è cambiato. Prima c’era il mercato sulla piazza e mi ricordo che capitava di tornare a casa con qualche omaggio dei fruttivendoli italiani. C’era più disponibilità, più umanità, più sorrisi. C’erano più negozi africani e indiani che negli anni sono quasi spariti, sostituiti da negozi tutti uguali che vendono prodotti di scarsa qualità. Ora il rione vive una situazione di profondo degrado che penso sia dovuta alla mancanza di controlli e di cura sia da parte delle istituzioni locali che da parte dei suoi abitanti.
Ci puoi fare qualche esempio?
Credo ci siano regole che vengono infrante quotidianamente da tutti, italiani e stranieri. Manca chi faccia rispettare veramente la legge anche se il quartiere è pieno di forze dell’ordine. Ci sono problemi grandi e piccoli, ma si percepisce tanta illegalità e corruzione.
La presenza di molte persone di origine straniera arricchisce il rione o contribuisce al suo degrado?
Sicuramente la loro presenza costituisce un fattore di vivacità ma nello stesso tempo favorisce lo sfruttamento di mano d’opera a basso prezzo, utilizzata anche per attività che non vengono controllate e che a volte sono completamente illegali.
Tu lavori nell’artigianato artistico: cosa pensi della qualità dei negozi dell’Esquilino?
Pochi bei negozi resistono. I più si omologano in tipologie di prodotti di bassa qualità che contribuiscono al degrado. Mi riferisco a tutte le attività di fatto all’ingrosso (anche se questo in teoria è proibito) che producono montagne di rifiuti e sporcano le strade. O ai negozi di alimentari con vendita di alcolici consumati dagli avventori che lasciano tappeti di bottiglie in strada. Ciò scoraggia l’insediamento di nuove attività di maggior livello qualitativo. Il comune dovrebbe tutelare e incentivare con qualche norma tale riconversione.
Quali sono secondo te gli ostacoli maggiori per l’integrazione degli abitanti stranieri?
Più che abitanti io vedo commercianti stranieri con cui a volte si creano contrasti perché non rispettano le regole. Comunque è evidente che mancano luoghi di incontro culturali e sociali, luoghi accoglienti e sicuri in cui ci si possa incontrare e passare un po’ di tempo in tranquillità. Neanche la piazza e il giardino lo sono.
Poi le diverse comunità hanno spesso delle forti resistenze alle relazioni tra loro. La mia impressione è che gli africani siano tendenzialmente più aperti a confrontarsi con le altre culture, mentre le comunità cinesi e bengalesi sono più chiuse in se stesse.
Quali strumenti suggerisci per capire dove c’è illegalità?
L’illegalità è sotto gli occhi di chiunque voglia vedere. In Italia poi c’è una delle migliori intelligence al mondo, evidentemente manca la volontà di cambiare le cose.
Il cittadino non viene ascoltato e ci si abitua a non protestare, a non ribellarsi e questo è deleterio per la società. Personalmente non riesco ad abituarmi ed ogni giorno c’è un motivo diverso per arrabbiarsi. È veramente un peccato lasciare andare così l’Esquilino, è un bellissimo rione, il più vivo di Roma certamente.

METISSAGE spirito dei tempi e scelta di vita
La testimonianza di Maria Antonietta Sutto

Quando 15 anni fa è nato “Agadez” non passava giorno che non si affacciasse qualcuno per chiedermi com’era vivere con un africano e, se minimamente mi mostravo disponibile, venivo sommersa da domande di ogni tipo sul mio privato. C’era una grande voglia di sapere e un gran giudicare allo stesso tempo. Capivo che qualcosa stava cambiando perché tutto quel desiderio di sapere era enorme, era come mi dicessero: “anche io vorrei essere come te ma non ho il coraggio”.
Ho cominciato a vedere i primi segnali di cambiamento quando nelle pubblicità sono apparsi i primi volti colorati, mai veramente neri e sempre rigorosamente sullo sfondo. Poi è arrivato Obama, che ha segnato una strada di non ritorno: un messaggio di fortissimo incoraggiamento per molte persone di colore in tutto il pianeta e questa rimane la cosa più importante della sua presidenza.
La nostra società nel frattempo si è sempre più mescolata e noi finalmente non suscitiamo più un particolare interesse come coppia mista! Rimane quindi il risultato di questa scelta, che è il nostro lavoro di fusione: fusione umana e culturale, unione dei nostri mondi. Io creo quello che sono, questa è la mia anima artistica. Che la fusione sia una tendenza nella moda non stupisce perché esprime, appunto, lo spirito del tempo che ogni buon creativo sa cogliere; vivere sulla pelle i cambiamenti invece è un’altra cosa!

Paola Romagna, Maria Grazia Sentinelli