MaTeMù: dall’Esquilino un progetto di integrazione

(Numero 0 – Bimestre mar-apr 2015 – Pagina 6)

“Chiamami Cesar, o Cesare se vuoi”, mi chiede il ragazzo che mi siede di fronte in una sala del Centro MaTeMù. “Tu come preferisci?”, ribatto. “E’ uguale – fa lui -. Se la gente mi chiama Cesar, rispondo “Oh!”. Se mi chiama Cesare invece “Aoh!””. Già dalle presentazioni capisco di avere a che fare con un esempio di integrazione riuscita e una vita da raccontare

La storia di Cesar. Nato in Perù 27 anni fa, da quando ne ha nove vive a Cesano a Nord di Roma. Nel 2010 è entrato per la prima volta in MaTeMù, punto di aggregazione giovanile di via Vittorio Amedeo II. In quel periodo lavorava all’Esquilino, ma la sua grande passione era la break dance. Aveva saputo che lì vicino c’era una sala prove gratuita. Quando racconta le sue prime esperienze a piazza Vittorio, ricorda la possibilità di giocare a basket con i suoi coetanei e le difficoltà di relazionarsi con i cinesi. Eppure quell’enorme spazio verde rappresentava una tappa verso la meta finale del suo viaggio.
La vivacità di MaTeMù. Da cinque anni la struttura vicino la metro Manzoni riunisce italiani e stranieri dagli 11 ai 23 anni, ma a volte i fuori quota tornano a far visita ai vecchi amici. Nasce come progetto del Centro Informazione e Educazione allo Sviluppo, ed è ad esso che deve il nome: riprende, infatti, le iniziali di una delle fondatrici del Cies, Maria Teresa Mungo, un omaggio al suo impegno nel quartiere Magliana. Frequentato quotidianamente da 60-70 ragazzi di tutti i continenti, offre 10 laboratori aperti 5 giorni su 7. A maggio portano in scena lo spettacolo teatrale-musicale “Ecco dove”. Nella loro sede un ambiente dinamico. Un chiacchiericcio per nulla fastidioso. Chi fa selfie di gruppo e chi gioca a ping pong. Al primo piano lezioni di italiano, prove di ballo e recitazione e una sala registrazione. Fin dall’inizio è stato forte il legame con il territorio. Come spiega Dina Giuseppetti, coordinatrice del centro, le prime attività consistevano soprattutto in “unità di strada”, volte ad attrarre teenager sia del quartiere sia di luoghi più lontani. Col tempo l’esigenza di essere riconoscibili è venuta meno e si è risposto invece ad un bisogno aggregativo e di ascolto.
Da scommessa a modello. “Protagonisti di quest’esperienza anche gli operatori sociali”. Come dichiara Alessandro Bernardini, responsabile dei progetti Giovani del Cies. Si tratta di educatori e mediatori culturali con una formazione specializzata per svolgere un’attività delicata. Spesso hanno a che fare con persone fragili che hanno avuto problemi di razzismo, violenza fisica e psicologica, droga, criminalità. Proprio loro diventano le prime persone di cui i ragazzi si fidano e con cui, non senza difficoltà, si confidano. Poi entrano in campo altre figure, dai medici agli psichiatri, che si prendono cura di loro. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, gli adolescenti che entrano con una lacrima nascosta o un grido taciuto ne escono con un sorriso contagioso.
Oggi questo esperimento è diventato un modello che andrebbe adottato anche in altre zone, ben più problematiche dell’Esquilino. E non è detto che ciò non accada anche a breve.
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[BOX]
Dal 1983 il Cies di via Merulana opera nell’ambito dell’educazione alla cittadinanza mondiale e della sensibilizzazione al dialogo interculturale. L’obiettivo è favorire l’integrazione degli immigrati, attraverso diverse attività: l’educazione e la formazione con vere e proprie scuole, la mediazione linguistico-culturale e il commercio equo e solidale. Numerose poi le occasioni di collaborazione sia con i servizi sociali pubblici, sia con le associazione private del territorio.
[www.cies.it]

Luca Mattei