Santa Croce: i malanni di una grande Coop de’ noantri

La cooperativa di costruzione Santa Croce è a rischio di scioglimento. Ma la liquidazione del suo patrimonio immobiliare creerebbe squilibri nel tessuto commerciale del rione
(Numero 28 – Bimestre nov-dic 2019 – Pagina 1,3)

Società Cooperativa per le Case Economiche in Santa Croce. È questo il nome completo della cooperativa nata nel lontano 1903 con lo scopo di edificare l’area compresa tra via Eleniana, piazza di Santa Croce in Gerusalemme, via Sessoriana, via Sommeiller, via Santa Croce ed il parco di via Statilia. Il Comune di Roma concesse il terreno, a condizioni vantaggiose, ai dipendenti delle ferrovie. La denominazione ‘case economiche’ già da sola dà l’idea dell’obiettivo primario: concedere vantaggi ai soci nell’acquisto delle future abitazioni. Le residenze furono un esempio felice per le lottizzazioni dell’epoca. Nove edifici a ferro di cavallo, ciascuno di cinque piani, per circa 660 appartamenti e vari servizi (biblioteca, banca, doposcuola, centro ricreativo). Oggi ospitano circa duemila persone, una bella fetta di abitanti dell’Esquilino.

Una coop edilizia, e non solo. La cooperativa era quindi, anche per statuto, collocata tra le coop di costruzione. Terminata l’assegnazione ai soci degli appartamenti avrebbe dovuto procedere, come in casi simili, al passaggio di attività ai condomìni e al proprio scioglimento per raggiunto scopo sociale. Eventuali locali non assegnati avrebbero dovuto essere venduti, utilizzando i ricavi per abbattere ulteriormente il prezzo di acquisto. La scelta della coop Santa Croce fu invece diversa. Continuò ad operare e ad assistere i propri soci, anche e soprattutto nella gestione dell’intero complesso edilizio. Mantenne anche la proprietà delle unità non assegnate: negozi, depositi, cantine e spazi comuni. Così è stato per decenni, fino ai nostri giorni. Da qualche anno a questa parte però, debiti, cause, esposti e dispute interne hanno riportato alla luce l’esistenza della cooperativa nelle polverose stanze del Mise. Il Ministero dello Sviluppo Economico è infatti competente in tema di vigilanza.

Le ispezioni ministeriali. Per il ministero la cooperativa appare da subito difficilmente collocabile all’interno delle normative esistenti. Le varie ispezioni conducono alle segnalazioni più disparate. Dalla richiesta di modifica dello statuto centenario, non più rispondente alla realtà dei fatti, alla gestione personalistica. Dalla mancata separazione tra le attività della cooperativa e quelle condominiali, al fatto che per questi ultimi non si sia mai proceduto alla stesura dei regolamenti ed alla nomina degli amministratori. Dal fatto che gli inquilini non soci, circa ottanta, pur contribuendo economicamente non possono partecipare alle decisioni. Al fatto che non venga concesso il voto a quei soci che, pur in regola con le quote sociali, risultino morosi per quelle condominiali.

Il decreto di scioglimento. La cooperativa corre ai ripari. Risponde punto per punto alle contestazioni ricevute. Redige ed approva un nuovo statuto. Ridisegna le tabelle millesimali. Separa contabilmente le attività di gestione. Aderisce a Lega Coop – il maggiore ente di categoria, che ricopre ruolo di garante nei confronti del Mise – e supera con successo la revisione da parte di quest’ultima. Tutto inutile però per il ministero. Alcune delle azioni intraprese non sono ritenute sufficienti, altre non vengono acquisite. Le procedure avviate, pertanto, non si interrompono. Si giunge quindi, lo scorso 17 settembre, al decreto di scioglimento della cooperativa ed alla nomina di un commissario liquidatore.
Il patrimonio. Ma liquidatore di cosa? Liquidatore di quel patrimonio che, da inizio secolo, è rimasto nelle sue disponibilità. Gli immobili mai assegnati. Circa 260 unità per un valore di oltre 24 milioni di euro. Tra questi, la totalità dei locali commerciali afferenti agli stabili. Tutta la parte terminale di via di Santa Croce in Gerusalemme. Ben sei diversi ristoranti, incluso il quotato Ottavio. Il Caffè Italia e il Bar De Santis. La farmacia Strampelli, il forno Ciabattini, il supermercato Conad, il concessionario Kia Motors. E ancora, l’alimentari Sciattella, la macelleria di Valter, il parrucchiere, la lavanderia, la tabaccheria e quant’altro. Senza dimenticare il mercatino di via Eleniana, un locale di oltre 1.000 mq.

Il ricorso. Al decreto segue, come sempre in questi casi, ricorso al Tar da parte del Cda della cooperativa, sottoscritto anche da alcune decine di soci. Lo scorso 30 ottobre il tribunale ha accolto la richiesta di sospensiva per vizi procedurali, anticipando anche dubbi sul merito. Quindi per il momento tutto si è risolto con un nulla di fatto. La nomina del commissario è decaduta. I poteri sono tornati al vecchio Cda. Almeno fino ad aprile, quando è prevista la pronuncia sul merito. Il rischio di giungere ugualmente allo scioglimento è però concreto, anche nel caso in cui il Tar dovesse accogliere in via definitiva le richieste della cooperativa. Per portare a termine la procedura, il ministero potrebbe infatti emettere un nuovo decreto che tenga conto di quanto emerso in tribunale.

I rischi. La liquidazione della cooperativa potrebbe forse rimescolare le carte internamente, ma comunque non gioverebbe a nessuno: né ai soci-residenti, né ai commercianti, né al rione nel suo complesso. Mettere sul mercato l’intero tessuto commerciale dell’area potrebbe portare ad un completo stravolgimento dello stesso. Gli attuali esercenti potrebbero ritrovarsi nelle condizioni di non poter acquistare le proprie mura. Inoltre, si avrebbero effetti anche sulle quotazioni dei locali del circondario. Come previsto dallo status di cooperativa, gli attuali soci non riceverebbero nulla dalla vendita. Tutti gli utili, non potendo essere suddivisi, andrebbero ad alimentare un fondo di solidarietà gestito da Lega Coop. Stesso ente a cui, per legge, il Mise è tenuto a richiedere i commissari liquidatori. Verrebbero poi naturalmente anche risolti tutti i contratti per il personale della cooperativa: undici dipendenti tra amministrativi e portieri che non necessariamente sarebbero ricollocati nei successivi condomìni.

Riccardo Iacobucci