Carmelo G. Severino, redattore del nostro giornale, è autore del volume ‘Roma. Esquilino (1870-1911)’, nel quale delinea la storia dei primi quattro decenni del rione. Gli abbiamo chiesto di parlarcene in anteprima
(Numero 27 – Bimestre set-ott 2019 – Pagina 5)
Architetto e storico della città, Carmelo G. Severino, in questa sua ultima opera, in corso di stampa con Gangemi editore, delinea il percorso che, a partire dall’Unità d’Italia, ha portato all’impianto attuale dell’Esquilino. Con il supporto di diverse fonti documentali, per lo più di tipo archivistico – tra cui l’Archivio centrale dello Stato, il Capitolino, quello storico della Banca d’Italia – e con un ampio apparato iconografico, il volume prende avvio con la descrizione della città e del territorio esquilino alla vigilia del 20 settembre 1870, per poi esporre nel dettaglio la formazione del nuovo ‘quartiere’, dedicando molto spazio a piazza Vittorio Emanuele II, che l’Esquilino “evoca, rappresenta e rimanda” e che ne costituisce a tutti gli effetti la polarità di riferimento privilegiato.
L’Esquilino, è dunque un quartiere che può considerarsi ad impianto ‘moderno’?
È un ‘quartiere’ geometricamente definito, a maglia regolare, realizzato ex novo dopo il 1870 sui colli orientali, in un territorio però di ben più antica frequentazione umana: risalgono infatti all’ottavo secolo a.C. le prime tracce di insediamenti legati alla Roma arcaica, fornendo un eccezionale esempio di stratificazione storica plurisecolare. A partire dal 1871, con la proclamazione di Roma Capitale, inizia, sul piano edilizio, un nuovo corso per il territorio esquilino e per tutta la città. Dopo gli avvenimenti di Porta Pia, Roma non è più la città dei papi, capitale di un piccolo Stato teocratico, ma di un grande Stato europeo. Da qui il difficile compito di provvedere alla propria modernizzazione, di ristrutturarsi per diventare una capitale moderna all’altezza del suo glorioso passato. Nel giro di pochi decenni, la città rinnova, ampliandolo enormemente, il proprio tessuto urbano; ma, nello stesso tempo, mette in moto una vera e propria distruzione del patrimonio storico-monumentale. La realizzazione dell’Esquilino, infatti, così come per gli altri insediamenti della nuova Roma, comportò distruzioni indicibili ed interi quartieri residenziali e monumenti anche grandiosi andarono perduti per sempre. La cultura europea criticherà aspramente i nuovi vandali di Roma perché molto di quello che venne scoperto durante i lavori di sterro fu “sistematicamente distrutto”.
Quali sono le dinamiche sociali ed economiche rintracciabili nella storia dell’Esquilino?
In generale, agli aspetti urbanistici ed architettonici si sommano sempre aspetti economici e socio-culturali, legati a chi in definitiva vive le trasformazioni del territorio e a coloro che si propongono come promotori di tali trasformazioni, cioè i proprietari terrieri, le imprese di costruzione, le banche e le società di capitali, particolarmente attivi in città nei primi decenni di Roma Capitale. Nella storia dell’Esquilino, dal 1870 ad oggi, è possibile individuare più fasi di formazione: una iniziale, durante la quale il nuovo ‘quartiere’ viene progettato e realizzato sui colli orientali della città, rielaborando di fatto quanto già avviato durante il pontificato di Pio IX, fase che travalica nel nuovo secolo XX sino agli anni che vedono al governo della città, in Campidoglio, Ernesto Nathan, il primo sindaco veramente laico della città dopo Luigi Pianciani, ed è questo il periodo trattato dal mio saggio; una seconda fase che arriva fino agli anni Sessanta del secolo scorso, contrassegnati dal boom economico nazionale, in cui l’Esquilino, ridimensionato nei suoi confini amministrativi, definisce e completa la maglia del suo tessuto socio-economico ed urbanistico; una terza fase, infine, ancora in atto, in cui l’Esquilino, multietnico e multiculturale, viene vissuto come zona di confine tra una Roma ormai città-metropoli europea e le periferie povere del mondo, come una ‘grande porta urbana’ verso le aree centrali della città.
Roma viene proclamata capitale al termine di un complesso processo di unificazione del Paese, con non poche contraddizioni e contrasti. Una capitale alla quale con difficoltà viene riconosciuto il ruolo che le compete, che non tutti ‘amano’. Viene da dire: allora come ora…
Con la conclusione della lotta risorgimentale, iniziò la fase nuova della costruzione dello Stato unitario. Allo stesso tempo, si pose il problema del ruolo che Roma doveva occupare nella geografia urbana nazionale, con una classe politica che, nella stragrande maggioranza, aveva subìto più che voluto Roma capitale d’Italia. E se Cavour, alla Camera dei deputati, nel 1861, aveva ben evidenziato come la scelta di Roma scaturisse da grandi ragioni morali, essendo “la sola città d’Italia” a non avere “memorie esclusivamente municipali”, dieci anni dopo, ormai scomparso il grande statista, il governo si dimostra del tutto impreparato ad accompagnare Roma nel suo nuovo difficile compito. E disponendo di scarsi mezzi finanziari, per realizzare le opere necessarie alla nuova funzione di capitale del regno si limita ad autorizzare solo operazioni di anticipo da parte della Banca d’Italia a favore del Comune di Roma. Soltanto nel 1881 e 1883, con le leggi speciali, il governo si impegnerà a fornire finanziamenti per l’attuazione del Piano regolatore e la realizzazione delle più importanti opere pubbliche: questi furono i primi decenni di Roma capitale d’Italia e… non si può certo dire che oggi molto sia cambiato.
Paola Mauti