La ‘Casa Tonda’ e il recupero della memoria storica dei luoghi

Un mausoleo del primo secolo a.C. posto fuori Porta Esquilina, trasformato in età moderna in una casa di campagna e la storia della sua demolizione per far spazio ai giardino-square di piazza Vittorio
(Numero 28 – Bimestre nov-dic 2019 – Pagina 10)

Completamente sepolto sotto il giardino di piazza Vittorio Emanuele II si trova quel che rimane della cosiddetta Casa Tonda: enormi resti delle strutture cementizie di fondazione e “qualche brano in opera reticolata dell’alzato”. In realtà si trattava di un sepolcro monumentale di epoca romana – con ogni probabilità del I secolo a.C. – realizzato per accogliere le spoglie mortali di qualche personaggio che deve essere stato di una certa importanza, date le dimensioni del manufatto.

La struttura della Casa Tonda. Posto poco fuori Porta Esquilina, lungo una delle strade suburbane che attraversavano in quell’epoca lontana l’Esquilino, territorio che i romani utilizzavano come luogo di sepoltura per i loro morti, il monumento sepolcrale doveva avere una sua certa imponenza.
Formato da un massiccio corpo circolare, innalzato su una base a pianta quadrata di circa 25 metri di lato, il mausoleo non era costituito da un nucleo pieno ma era articolato secondo strutture murarie cruciformi in grado di costituire ampie volumetrie interne. Pertanto in epoche successive poté essere facilmente ristrutturato e trasformato in abitazione, perdendosi poi del tutto la memoria delle sue origini sepolcrali. La realizzazione della Strada Felice – l’attuale via di Santa Croce in Gerusalemme, voluta da papa Sisto V Peretti per collegare la basilica di Santa Croce in Gerusalemme con la basilica di Santa Maria Maggiore – garantì a partire da quegli anni una buona accessibilità alla Casa che, per la sua conformazione circolare, comincerà ad essere conosciuta come la Casa Tonda. Nel catasto rustico urbano del 1871, risultava censita come “Casa con corte ad uso dell’orto e Pollajo” nel fondo rustico di proprietà del principe Altieri.

Piazza Vittorio. Il piano urbanistico del nuovo ‘quartiere’ Esquilino, redatto da Pietro Camporese, Antonio Cipolla e Alessandro Viviani nel 1871, organizza sull’asse di via di Santa Croce in Gerusalemme, a metà strada tre le basiliche di Santa Croce in Gerusalemme e Santa Maria Maggiore, una grande piazza da dedicare al re sabaudo Padre della Patria – la piazza Vittorio Emanuele II – e pertanto la Casa Tonda, rientrando con tutte le sue pertinenze all’interno del perimetro della piazza, viene sottoposta ad espropriazione per pubblica utilità. Seriamente compromessa durante i lavori di livellamento degli anni 1873-1874, nell’agosto 1884 verrà demolita e completamente rasa al suolo. Nel 1888 sul suo sedime si costruirà il giardino-square perdendosi così la memoria di ogni cosa. Singolare, però, fu quel che accadde in occasione della sua demolizione.

Una situazione di degrado diffuso. Nell’estate 1884, con i fabbricati che circondavano piazza Vittorio già ultimati ed in parte abitati, si viveva una situazione di grande disagio per le strade incomplete, non selciate, senza marciapiedi né illuminate. La crisi economica poi spingeva la povera gente senza dimora a utilizzare i portici come bivacchi per la notte. Da più parti si chiedeva al Comune di “far maggior sorveglianza a tutela della pulizia e dell’igiene”, di lastricare i marciapiedi o almeno di intervenire con lastre o ciottoli nei “passaggi più frequentati”, di mettere “qualche lampione in più in alcune strade nuove”, e almeno uno nella vasta piazza per essere come “un faro pei naviganti a piedi che hanno la sventura di dover transitare per quel mare, oasi o che so io, di notte”.
In questo contesto così compromesso accade che l’impresa di Giovanni Lelli, che ha l’incarico di demolire la Casa Tonda, che sta lì, in mezzo alla piazza, ridotta ad un rudere abbandonato, il 12 agosto 1884 sospende i lavori appena iniziati lasciando la Casa incustodita, senza sorveglianza. E così la notte vi si rifugiano decine e decine di operai, “sopra ricci di legname e paglia sudica (sic) – una trentina tra maschi e femmine” nella stanza più grande e venti nell’altra. Data la situazione di degrado già presente nella piazza, il Comune interviene imponendo all’impresa di provvedere a sbarrare ogni entrata alla Casa Tonda per impedire il ricovero “in quei tuguri”. Ma l’impresa si rifiuta e così il Comune si vede costretto a organizzare un servizio di vigilanza che però, “per la scarsezza” delle guardie di città, non può essere continuativo, giorno e notte. Il rudere ritorna quindi ad essere occupato, la qual cosa viene considerata un “grave danno della morale e dell’igiene”. A questo punto il Comune impone all’impresa, e nel più breve tempo possibile, la demolizione di tutta la parte ancora in piedi della Casa Tonda e a Giovanni Lelli non resta che eseguire.

Recuperare la memoria storica dei luoghi. Dai saggi effettuati dalla Soprintendenza archeologica di Roma in occasione dei lavori per la metropolitana negli anni Settanta (1975), importanti tracce murarie della Casa Tonda sono emerse in tutta la loro evidenza. Il progetto per la manutenzione del giardino, i cui lavori sono ancora in corso di attuazione, hanno però ignorato del tutto tale importante presenza ed è un’occasione perduta.
Ed allora, perché non apporre in corrispondenza del sedime della Casa Tonda un pannello esplicativo per recuperarne almeno la memoria storica?

Carmelo G. Severino