Madri migranti negli anni cinquanta

In un volume, le storie di tante donne che, con le loro famiglie, intorno alla prima metà del secolo scorso, si sono trasferite a Roma e, in particolare, all’Esquilino. Molte provenivano dall’Italia centrale
(Numero 21 – Bimestre nov-dic 2018 – Pagina 4)

Il volume “Mia madre era”, edito da Gattomerlino, è nato dall’idea di Terry Olivi (curatrice dell’antologia insieme a Rita Laganà), di raccontare la storia della propria madre, oggi novantenne, trasferitasi con il marito da Matelica all’Esquilino nel 1954.
Il libro. Il progetto iniziale si è ampliato, abbracciando le storie di altre madri e famiglie, raccontate da vari autori ed autrici. Di questi, ben cinque hanno uno stretto rapporto con il nostro rione o perché ci abitano o perché ci lavorano, come Rita Laganà, che ha insegnato per oltre 15 anni alla scuola Manin, ora Istituto Comprensivo. Gli altri autori sono Leonella Masella, artista attiva ad Esquilino e facente parte dell’Associazione Arco di Gallieno, Raffaele Ciminelli, scrittore e poeta, ex direttore di banca e la poetessa Allegra Morelli, deceduta purtroppo da pochi mesi. Storie molto sentite che, come scrive Elio Pecora nella prefazione del libro, “ne ripercorrono l’infanzia e la giovinezza, ne rivelano e ne ritessono le vicende e i percorsi. Ne deriva una forte galleria di ritratti di donne che hanno vissuto una grande parte del Novecento. Sono tante piccole storie che significano e compongono la “grande storia””.
La migrazione: una storia, tante storie. Racconta Terry Olivi: “Sono gli anni della grande migrazione avvenuta dal centro Italia verso Roma. Mio padre per esempio, cittadino di Matelica, aveva fatto il servizio militare a Roma e si era innamorato della città. Poi, un nostro parente gli ha trovato un posto come portiere e siamo venuti qui, a via Merulana 13, dove tuttora abito con la mia famiglia”. Una migrazione stagionale di contadini, che vengono a lavorare nelle campagne di Roma, facendo anche 250 chilometri con mezzi di fortuna, a volte anche a piedi. È un fenomeno cui si assiste già nei primi anni del novecento. Ma è nel dopoguerra che in molti decidono di lasciare definitivamente la campagna, attirati da lavori più redditizi offerti dalla città. Grazie alle relazioni familiari e parentali, ad un intenso passaparola, molti contadini arrivano a via Merulana, assunti come portieri. L’alloggio gratuito costituiva una grande attrattiva per chi arrivava e, d’altra parte, i condomini erano ben lieti di affidarsi a queste persone che sapevano fare un po’ di tutto ed erano considerati molto affidabili. Ma non sono arrivati solo i portieri. In quegli anni si è verificata anche una migrazione di molti contadini da Matelica, paese di origine di Enrico Mattei, a Roma, per lavorare all’ENI.
Per non parlare dei tanti artigiani della pelle, provenienti dalla provincia di Macerata, zona che vantava una tradizione fortissima in questo settore fin dal medioevo, trasferitisi a Roma attratti da nuove opportunità, comprese quelle che poteva offrire il mondo del cinema. Dice Rita Laganà: “Per esempio, in quegli anni, i Pompei si sono trasferiti a via Merulana sotto Palazzo Brancaccio e tutt’ora il figlio è uno dei massimi fornitori di calzature per il mondo del cinema. Con Pompei abbiamo organizzato degli interessantissimi laboratori per le scuole medie della Manin, per mostrare ai ragazzi come si producevano le calzature. Poi la Pompei si è trasferita, perché gli altri residenti del Palazzo si lamentavano per il forte odore delle colle”.
L’Esquilino e i nuovi abitanti. Alcuni racconti, come quello di Terry Olivi “Attraversare il ponte”, parlano dell’Esquilino e in particolare di via Merulana: “Abitavamo in via Merulana, fiancheggiata da due filari di larghi platani, verde cornice della facciata e del campanile romanico di Santa Maria Maggiore. Ricca di negozi, soprattutto di abbigliamento, in quel tempo era luogo di incontro di persone della borghesia romana, che si fermavano volentieri a parlare, sostando sugli ampi marciapiedi, oppure sedute ai tavolini dello storico Bar Cottini”. O ancora ne “la Pravda”, Mariana Puledda parla del fidanzamento dei genitori e poi del loro matrimonio: “Dopo sei mesi di fidanzamento si sposarono, nell’agosto del 1941 a Roma. Papà era stato trasferito nella capitale per ragioni militari. La cerimonia si svolse nella basilica di Santa Maria Maggiore e il ricevimento fu fatto da Cottini, caffè molto elegante della Roma borghese di quegli anni”. Infine, nel suo racconto Silvia Stucky parla delle bambine e dei bambini che andavano tutti insieme a prendere l’acqua alle fontane dei Fori Imperiali e, durante queste spedizioni, si fermavano ad esplorare i luoghi sotterranei sotto il giardino del Colle Oppio, che altro non sono se non gli ambienti della Domus Aurea.
Alla fine della chiacchierata, con Terry Olivi ci siamo soffermati a riflettere sul grande cambiamento che il nostro rione ha registrato da quegli anni: da fortemente elitario e borghese a multietnico e cosmopolita. Ma, come dice Rita Laganà dobbiamo saper convivere con le trasformazioni “come quando nell’acqua ci si mette, per esempio, la menta e diventa un’altra cosa: dobbiamo imparare ad accettare il cambiamento e a viverlo con affetto e responsabilità”.

Maria Grazia Sentinelli