Teatro, cabaret, cinema: il valore di ‘una carriera artigiana’

La formazione presso il laboratorio teatrale del Brancaccio, con la direzione di Gigi Proietti, è stata una tappa fondamentale nell’articolato percorso artistico e professionale di Paola Tiziana Cruciani
(Numero 26 – Bimestre lug-ago 2019 – Pagina 1,9)

Attrice, sceneggiatrice, caratterista, ha mosso i primi passi nel mondo dello spettacolo frequentando, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, il laboratorio teatrale del Brancaccio, con la prima direzione artistica di Gigi Proietti. Da allora, ha costruito la sua lunga carriera dividendosi tra il teatro, la televisione, il cabaret. Con un’importante incursione nel cinema, diretta, tra gli altri, da Paolo Virzì. Ma il teatro resta il suo principale interesse, la sua vera passione. Paola Tiziana Cruciani ci riceve nel suo studio, un piccolo attico affacciato sul Parco dell’Appia Antica.

Che ricordo ha di quegli anni, quando frequentava da allieva il Brancaccio e il rione Esquilino?
Ho frequentato il laboratorio a partire dal ’79: la scuola, che era gratuita, faceva parte degli istituti di avviamento professionale della regione Lazio. Sono stata lì fino all’81 e ho vissuto il passaggio dell’Esquilino da rione prettamente popolare, romano, all’arrivo dei cinesi. Allora, c’erano soprattutto le botteghe degli artigiani romani.
Tornata anni dopo, mi ha un po’ turbato passeggiare e vedere che, al posto dell’insegna in ferro battuto, dove leggevi ‘norcineria’, ‘spaccio’, ne era comparsa una diversa, con brutti colori. E quando hanno trasferito il mercato, per me è stato un colpo al cuore, perché il mercato rionale per me è all’aperto.
Al Colle Oppio si faceva la Festa dell’Unità. Io frequentavo la sezione del PCI di via del Boschetto e feci una piccola ricerca: eravamo nel ’75 e nel padiglione della FGCI illustravo, con le diapositive, la storia della Polveriera.

Cosa era per lei il Teatro Brancaccio?
Cosa era per me? Ma, piuttosto, cosa era per il rione, per Roma. Era ‘un polmone di cultura’ e per me ha significato l’incontro con il Teatro. Il Brancaccio, allora, conteneva 1600 posti, con la doppia galleria. L’ultimo ordine di galleria aveva una ringhiera molto bassa e non era agibile: noi allievi uscivamo dal Brancaccino, cioè la nostra sala prove, e ci infilavamo nella seconda galleria. Tenendoci bassi per non farci vedere, assistevamo, di nascosto, a tutti gli spettacoli, anche più volte. ‘A me gli occhi, please’, ‘La commedia di Gaetanaccio’ e tanti altri, io li so a memoria. Avevamo grandi maestri, lo stesso Proietti, Sandro Merli. Inoltre, Gigi riceveva in camerino tutti i grandi personaggi che venivano e gli diceva ‘vieni a insegnà’. Un giorno si è presentato con Mario Carotenuto e gli ha fatto tenere una ‘lezione di barzellette’. Abbiamo avuto Ugo Gregoretti, Nanni Loy, Liza Minnelli. Questo grazie al fatto che eravamo dentro un luogo vivo, dove il teatro si pensava, si realizzava. Inoltre, in una scuola pubblica sovvenzionata si possono selezionare le persone che hanno talento, non devi necessariamente ‘riempire le classi’: il pubblico ti garantisce la qualità, il privato no. Ho un ricordo molto bello di quel periodo.

E dopo la scuola?
Sono sempre rimasta legata al teatro. Ho lavorato molto con Gigi negli anni della formazione. Poi, ho fatto subito televisione. Nell’aprile dell’86, ho di nuovo lavorato con Proietti, a Milano. La vita è fatta di incontri, quando hai la fortuna di incontrare un maestro come lui, non lo molli. Anche perché il suo modo di concepire la formazione mi ha segnata: era la prima scuola in cui si studiava recitazione, ma anche canto, ballo, scrittura teatrale. Prima c’era la classica accademia che formava nella prosa e basta. Poi, questo giovane matto si è inventato un nuovo modo di formare i ragazzi. Io mi sono appassionata alla scrittura e ho avuto la fortuna di lavorare con Enrico Vaime, con Scarpelli, con Roberto Lerici.

Si può fare un paragone tra il Brancaccio di allora e quello di oggi?
Oggi il Brancaccio è come il Sistina o l’Olimpico, non si fa più il teatro come negli anni ’80. Prima un teatro di mille posti lo riempivi con la prosa; adesso ci riesci solo con il musical. La prosa può reggere se ha le sovvenzioni pubbliche, come per il Teatro di Roma o l’Argentina. È cambiato anche dentro: ora ci sono i microfoni, non si lavora più con l’acustica teatrale. Era tutto diverso e non puoi giudicare quando le cose diventano molto diverse.
In questi ultimi anni, il cinema in Italia ha avuto buoni incentivi, ma per il teatro non c’è la stessa attenzione.
In molti Paesi del mondo il teatro è materia nelle scuole superiori, e non perché si debba fare l’attore, ma perché è considerato fondamentale per la formazione della persona. Il teatro ti insegna a lavorare in squadra: non a caso, si parla di ‘compagnia teatrale’. In Italia fanno vera formazione teatrale solo i gesuiti e qualche scuola religiosa. Invece, la cultura laica sembra non dare alcuna importanza a questo. Ma quando i bambini realizzano una rappresentazione teatrale, imparano delle regole, vincono le paure.

Altri incontri significativi della sua vita artistica, dopo Proietti?
Quello con Antonello Falqui, che era il re della televisione del sabato sera. Falqui doveva formare un gruppo per uno spettacolo di cabaret. Ci scelse e ci disse: “Trovatevi un nome”, e noi ci siamo chiamati ‘La zavorra’. In seguito, ho fatto ‘coppia comica’ con Rodolfo Laganà. Poi è cominciata la carriera teatrale e l’esperienza del cinema: ero la moglie di Villaggio nel film ‘I pompieri’. Ho avuto una parte ne ‘La bella vita’, ‘Ferie d’agosto’, ‘Tutta la vita davanti’, soprattutto come caratterista. Ma grandi svolte non ci sono state. Io dico sempre ai miei allievi “Non bisogna cercare il botto, perché quello dura il tempo di un botto”. La carriera invece dura tutta la vita e te la devi costruire. Ho avuto un maestro che ci ha insegnato questo, quindi la mia è una carriera artigiana.

Ora a cosa sta lavorando?
Al momento sto lavorando alla stagione teatrale del prossimo anno e sto scrivendo una commedia per un bando. Il prossimo anno, al Teatro Roma, replicheremo ‘Gente di facili costumi’ e, al Salone Margherita, per un paio di settimane, io e Laganà proporremo gli sketch della nostra vita. Inoltre, alla fine del prossimo anno, va in scena al Manzoni una commedia scritta da me che si intitola ‘Chi l’ha vista?’. Ci tengo molto, perché lavorerò con Pino Quartullo, Massimo Wertmuller, Rodolfo Laganà, Gianfranco Iannuzzo: cioè, i miei ex compagni di scuola al Brancaccio.

Paola Mauti