«E dove potrei abitare se non all’Esquilino?»

Il popolo romano di una volta, le vacanze romane, la città multietnica: Goffredo Fofi ci racconta la sua Roma di ieri e di oggi
(Numero 43 – Bimestre set-ott 2022 – Pagina 4)

Saggista, giornalista, critico letterario e cinematografico, Goffredo Fofi è una voce autorevole per il suo impegno contro l’omologazione culturale. Da tempo è animatore di importanti riviste di cultura, politica e società che si sono succedute nel corso degli anni – Quaderni piacentini, Linea d’ombra, La terra vista dalla luna, Lo straniero – fino alla rivista Gli asini, la cui redazione si trova nel nostro rione e di cui è attualmente il direttore responsabile.

Goffredo Fofi, tu non sei romano di nascita per cui ti chiedo da quanto tempo vivi a Roma?
Frequento Roma dagli anni ’50-’60 ma vi abito stabilmente da circa venti anni, da quando mi sono trasferito da Napoli in piazza della Suburra, in una stanza di una casa grande avuta in subaffitto, da cui però fui presto ‘cacciato via’ perché diventata B&B. Mi sono poi trasferito in via di Porta Maggiore, a casa di amici che a un certo punto mi hanno ‘cacciato via’ anche loro con le solite scuse dei proprietari di case – infatti hanno poi affittato ad altri a prezzi più elevati. Un mio amico – Giulio Marcon – che abitava in via Giusti, avendo comprato casa in piazza Vittorio, mi lasciò allora il suo appartamento e io mi ci sono trasferito. Tuttora abito in via Giusti perché l’affitto è equo, la zona mi piace molto ed essendo vicino a piazza Vittorio presenta caratteri curiosi rispetto al resto della città.

Qual è il tuo rapporto con Roma e l’Esquilino?
Ho vissuto a Roma, in maniera saltuaria, in vari periodi della mia vita e devo dire che la città attuale non ha niente della Roma dei miei tempi. Il popolo romano, che aveva caratteri molto precisi – Gioacchino Belli alle spalle, il cattolicesimo – che attraeva i Pasolini, gli Arbasino, i Soldati e un sacco di intellettuali, non esiste più. La Roma degli anni ’50-’60 era di una vitalità straordinaria – era l’epoca di Vacanze romane per intenderci – un mito, con gli americani che venivano ad abitare a Roma. Era una città molto vivace e io, alla fine degli anni ’50, ero innamorato di Roma. Era il periodo in cui lavoravo nell’Associazione per la Libertà della Cultura di Ignazio Silone, un intellettuale non da poco che mi ha dato modo di conoscere Chiaramonte e frequentare la cultura romana di quegli anni. Sto pensando a quel periodo perché è stato da poco pubblicato il libro di Giordano Bruno Guerri, Eretico o santo. Ernesto Buonaiuti, il prete scomunicato che ispira papa Francesco, biografia di un uomo che la Chiesa e il fascismo hanno colpito in tutti i modi possibili. Leggendolo ho scoperto che molti suoi allievi appartenevano a quel tipo di borghesia – o anche piccola borghesia intellettuale romana – che io ho conosciuto: quelli del Mondo di Pannunzio e dei Nuovi Argomenti di Carocci e Moravia, con cui ho anche collaborato per gli opuscoli dell’Associazione per la Libertà della Cultura e quelli del Tempo Presente e del Contemporaneo, la rivista del Pci, una buona rivista.

Sono quindi cambiati anche i romani…
È stata un’epoca di grande vivacità intellettuale e di quella Roma ho una certa nostalgia perché poi è diventata la Roma della piattezza del sottogoverno, degli intrugli, dei giochi, insomma di quelle cose lì. E ovviamente si è perso via via anche il carattere di quella popolazione, diventata oggi abbastanza amorfa. Per questo mi piace piazza Vittorio perché non è così amorfa, ci sono i cinesi, ci sono gli ispanici con un giro di intellettuali e artisti, alcuni simpatici altri un po’ meno, alcuni molto salottieri, altri invece seri, ed è un ambiente in cui si hanno degli amici, degli incontri e non vedo dove altro potrei abitare a Roma. A Roma Nord? Ma non avendo macchina né guidando, per me il centro è piazza Vittorio, da dove muovermi. La stazione poi è a due passi e averla vicina è importante perché, nonostante l’età e gli acciacchi, mi muovo ancora parecchio. Ma soprattutto è importante che dopo un poco che abiti lì – di natura sono abbastanza gentile – conosci un sacco di gente che ti saluta ed io mi fermo a parlare. I cinesi sono di una gentilezza straordinaria e sono stati i primi, in tempo di Covid-19, a regalare la mascherina.

Cosa pensi dell’Esquilino e dei suoi abitanti?
L’Esquilino è un quartiere vivace, pieno di buoni ristoranti anche economici e di librerie – la piccola libreria Einaudi, la Mondadori, la libreria antiquaria, la Fenice in via Merulana. C’è un buon livello di rapporti umani, rapporti sociali, ci sono tante associazioni ed io non cambierei mai ‘quartiere’ anche se rimpiango quella Roma popolare, alla Gadda, per restare in tema, che non c’è più. Non tutti gli abitanti dell’Esquilino vi sono nati e tra quelli venuti da fuori la parte più interessante è proprio quella venuta da più lontano – dall’Africa, dall’Europa dell’Est, dal Medio Oriente – che ha i suoi riti, i suoi punti di ritrovo, i suoi incontri, che io trovo di una grande civiltà e quando ogni tanto vado in certi negozi, di asiatici soprattutto, io che sono curioso e amo cucinare, parlo con loro che mi danno consigli e ricette. C’è una socialità diffusa che non trovi altrove.

Che aspetto ti intriga del rione?
Una cosa che mi stupisce dell’Esquilino è che nonostante i tanti conventi, le strutture religiose e i diversi immobili di proprietà vaticana, c’è una scarsissima presenza di iniziative cattoliche, a differenza di altre zone di Roma, e non me lo spiego. L’Esquilino era inteso come la zona dei quartieri alti e mi ricordo che le prime volte che venivo a Roma la gente saliva a prendere il fresco all’Esquilino, un vero e proprio rito. Monicelli, che era di Monti e conosceva bene Roma, raccontava queste cose ed è lui che mi ha fatto conoscere Santa Maria Maggiore, che è enorme, una vera e propria ‘città’, con piani e sottopiani.
Un altro rito che mi affascinava era il 1° maggio a San Giovanni, dove la gente si recava in gruppi organizzando lunghe tavolate, portando il mangiare da casa e acquistando il vino in loco. Al concerto del 1° maggio ho sentito cantare Claudio Villa, il reuccio di Roma, più importante dello stesso papa.

Carmelo G. Severino