Gli zampilli della tradizione romana

Addossate a palazzi e monumenti, nelle ville aristocratiche, nei giardini e piazze, protagoniste: le fontane
(Numero 38 – Bimestre nov-dic 2021 – Pagina 9)

Nel 1916, Ottorino Respighi, musicista e direttore d’orchestra di grande fama, dedicò alle fontane romane il primo dei poemi sinfonici che avrebbero costituito la famosa trilogia romana. E l’Esquilino – a tutti gli effetti ‘il rione dell’acqua’ per gli acquedotti che alimentano la città – più di altri è stato caratterizzato nel corso dei secoli dalla presenza di fontane, sorte a partire dalla fine del Cinquecento per iniziativa di papi, principi e cardinali, soprattutto all’interno delle loro ville aristocratiche che riprendevano così i fasti degli antichi Horti amoeni della Roma imperiale.

La costruzione dell’Esquilino moderno, dopo il 1870,
ha lasciato pochissime tracce del suo passato splendore

Delle ville rinascimentali e barocche – con i loro lussureggianti giardini, disseminati di manufatti minori, abbelliti da fontane e statue antiche – non restano all’Esquilino che pochi reperti. Di villa Peretti-Montalto, la più grandiosa di tutte le ville esquiline, resta solo la fontana del Prigione – smontata e ricostruita prima in via Genova e infine alle pendici del Gianicolo, in via Mameli – e il gruppo marmoreo del Bernini, ‘Il Nettuno e il Tritone’, facente parte della scenografica fontana-peschiera del Nettuno, conservato in un museo di Londra.
Delle altre fontane che impreziosivano il paesaggio esquilino restano solo immagini, stampe e disegni degli artisti del Grand Tour. Fa eccezione, grazie alla sua particolare localizzazione in luogo pubblico, la fontana che Paolo V fece realizzare in piazza di Santa Maria Maggiore, su disegno di Carlo Maderno e con la collaborazione di Gaspare de Vecchi, decorata con i due draghi alati e l’aquila, emblema dei Borghese.

A cavallo tra XIX e XX secolo ritorna la ‘cultura dell’acqua’

Il romanticismo dominante di fine Ottocento riportò in città, e all’Esquilino, la ‘cultura dell’acqua’ della secolare tradizione romana, riproponendo non tanto nuove fontane quanto il dinamismo e la vivacità dell’elemento liquido in alcuni giardini di nuova formazione. In piazza Manfredo Fanti, Ettore Bernich, nel 1887, ideando ‘il mirabile edificio’, crea un bel giardino con un ‘verde laghetto’ che ‘luccica’ – il vivaio dell’Acquario Romano – popolato ‘di pesci minutissimi’. In piazza Vittorio Emanuele II, nel 1888, nel giardino ‘verde e fiorito’ viene inserito un artistico laghetto, con i cigni che nuotano ‘tra ninfee e altre piante acquatiche’, alimentato da una ‘cascata d’acqua’ che si rovescia dai ruderi dei Trofei di Mario.

In via di San Vito, piazza di Santa Croce in Gerusalemme e
piazza Vittorio Emanuele II le fontane esquiline del primo Novecento

Nonostante la retorica fascista che esaltava la monumentalità romana, l’amministrazione capitolina di quegli anni seppe dotare la città di fontanelle rionali al posto dei nasoni, le tradizionali colonnine in ghisa dal caratteristico beccuccio. All’Esquilino, sono localizzate in via di San Vito – uno scampolo dell’antico Esquilino medievale che collega il quartiere ottocentesco con la più antica via Merulana – e in piazza di Santa Croce in Gerusalemme, laddove il rione si conclude, in prossimità delle Mura Aureliane.
Progettata da Pietro Lombardi, la fontanella di via di San Vito si ispira ai monti dello stemma
rionale ‘con la stella ad otto punte, accostati ad un altro monte a coronamento’. Realizzata in travertino, consiste in tre vaschette che raccolgono l’acqua di otto zampilli. Tre basse pedane, leggermente in pendio, facilitano la bevuta di chi vi si accosta.
La fontanella di piazza di Santa Croce in Gerusalemme, progettata nel 1928 da Vittorio Cafiero, modesta di fronte all’imponenza della basilica, si caratterizza per le ‘linee armoniose e geniali ed elementi decorativi di ispirazione religiosa’. È costituita da ‘un alto bacino circolare’ posto ‘su una bassa base di sampietrini e travertino’ con al centro una struttura cilindrica che si apre in tre vaschette che raccolgono l’acqua zampillante dalla bocca di un cherubino, con riferimento alle tradizionali acquasantiere di chiesa.
La fontana di piazza Vittorio Emanuele II, recentemente restaurata e liberata dagli strati di calcare,’melma e vellutello’, è costituita da un gruppo scultoreo di Mario Rutelli, raffigurante un tritone, un polipo e un mostro marino avvinghiati tra loro. L’artista palermitano lo aveva scolpito per la fontana delle Naiadi, a piazza della Repubblica. Ma l’opinione pubblica benpensante non aveva apprezzato ‘quel tutt’uno’, considerato ‘un fritto misto’ ‘per la contorsione delle forme’. Il gruppo, per decisione del Comune, era stato infine trasferito nel 1913 all’Esquilino, all’interno del giardino, accanto ai Trofei di Mario, al centro del laghetto allora esistente.

Carmelo G. Severino