Quer pasticciaccio brutto de via Merulana

Si deve a Carlo Emilio Gadda e al suo romanzo più famoso se l’Esquilino, con le sue strade e i suoi abitanti, trovano vita nelle pagine più interessanti e celebrate della letteratura italiana del Novecento
(Numero 50 – Bimestre nov-dic 2023 – Pagina 8)

Quer pasticciaccio brutto de via Merulana’, romanzo scritto nel 1946 ma rielaborato nel 1957, è unico nella letteratura moderna italiana, portatore di ‘un mondo vitalissimo, pullulante di identità e memorie, di storie, di ragioni e passionalità’. Ambientato per buona parte all’Esquilino, nella ‘fascistissima’ Roma del 1927, negli anni in cui il regime dittatoriale godeva del consenso di massa soprattutto negli ambienti della piccola e media borghesia che costituivano buona parte della popolazione del rione.

Da un furto a un aggrovigliatissimo garbuglio

Carlo Emilio Gadda, milanese per nascita e istruzione, fiorentino per formazione culturale, dopo anni vissuti da ingegnere elettrico, si trasferisce a Roma dove elabora una personale visione del mestiere di scrittore, dando libero sfogo alla sua natura artistica.
Gadda ambienta la sua narrazione al civico 219 di via Merulana dove abitano ricche famiglie appartenenti al generone romano, ‘fior di signori, gente de commercio’ e ‘tutti signori autentici’, nel palazzo ‘dell’oro’, cinque piani più attico, scale A e B, con uffici e ‘porto di mare al mezzanino’, in uno di quei grandi palazzi dei primi decenni del secolo scorso, che infondevano solo a vederli ‘un senso di uggia’ per il colore delle sue facciate ‘contrapposto netto del cielo e del fulgido sole di Roma’.
Un furto di gioielli e un efferato delitto al terzo piano di quel palazzo ‘imbottito d’oro’ ‘insino ar tetto’ – dove c’era più ricchezza che ‘monnezza’ – sono il pretesto per raccontare, attraverso le indagini condotte dal commissario della squadra mobile di San Giovanni, il molisano Ciccio Ingravallo, lo squallore e le miserie umane di donne e uomini in una Roma piccolo borghese e popolare. Ispirandosi ad un gravissimo fatto di cronaca avvenuto nel 1945 a piazza Vittorio Emanuele II, Gadda dà vita ad una gigantesca messa in scena in cui celebra il passaggio di culture tra due secoli, l’Ottocento tradizionale ed il Novecento moderno, avvalendosi di uno stile inconfondibile e frenetico ed una lingua ricchissima e composita, un linguaggio espressivo che mescola l’italiano letterario con i dialetti del Centro e Sud Italia, creando assonanze che evocano contesti e diventano storie.

Un rione ‘gremito di popolo e popoluccio’

Vivono nel palazzo di via Merulana agiati borghesi, ‘bottegai tignosi e negozianti in ritiro’, ma anche aristocratici di una nobiltà minore, come la contessa Menegazzi (che subisce il furto dei gioielli) ed il nobile Ottorino Barbezzi, burocrati ministeriali come il sor Filippo commendator Angeloni del Ministero dell’Economia Nazionale, la professoressa Bertola, la signora Enea Cucco, i coniugi Bottafavi e la dolce e malinconica signora Liliana Valdarena in Baldacci di ricchissima famiglia (vittima incolpevole dell’atroce delitto), insieme al marito Remo Baldacci, commerciante.
Alla ingarbugliatissima vicenda fanno da sfondo una miriade di personaggi minori, dalla portiera al prete, dal maresciallo al brigadiere, dai garzoni di bottega alle domestiche e alle nipoti che frequentavano casa Baldacci (e persino Lulù una canina pechinese). Comparse, in una storia che si aggroviglia sempre più, che si muovono tra ‘il grigiore umbertino’ dei palazzi e ‘i ruderi augusti (…) memori di Tullio e Gallieno e di Liberio papa’, tra il rotolare alquanto ‘campanellante’ dei tram lungo la via Merulana e i rintocchi delle campane esquiline – soprattutto la ‘campana grossa’ di Santa Maria Maggiore che sembra non smetterla mai ‘di dondolare’.

Un velo di mistero per una storia volutamente incompleta

Muovendosi tra labili indizi, in un quadro di scoperte che ingarbugliano e complicano ancor di più le indagini, Gadda – convinto dell’inutilità degli sforzi per mettere ordine in un contesto insensato cui corrisponde l’insensatezza della storia e di uno scellerato regime che gli è toccato di dover servire – decide di non rivelare il colpevole, né i suoi complici, lasciando nel vago e nell’indeterminatezza la conclusione della tragica storia.
Sempre presente nella vita del rione, piazza Vittorio viene presentata con i suoi portici, il bel giardino ottocentesco ed il mercato di rivendita – il più grande e meglio organizzato della città – brulicante di umanità proveniente da tutte le zone di Roma, anche quelle più lontane. Soprattutto nelle ore in cui le donne ‘sogliono provvedere a mercato in vista non solo della cena quanto del pranzo’. Per dirla con Gadda, l’ora delle mozzarelle, dei formaggi, delle cipolle e dei cardi, degli odori, delle insalatine, dell’abbacchio e della porchetta d’Ariccia: una festa di carote e castagne e ‘montagnole di bianco-azzurrino finocchio’ tra ‘il vorticar delle femmine oberate di reti colme o di sporte fronzute di broccoli’ e gli strilli dei bancarellai vocianti che invitano all’acquisto.

Carmelo G. Severino