Solo nei primi anni Venti del Novecento, grazie ad un accordo tra Comune e privati, viene avviata la prima sistemazione di un importante quadrante del nostro rione
(Numero 37 – Bimestre set-ott 2021 – Pagina 8)
Avviata a partire dalla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento, con il tracciamento della scacchiera di isolati lungo via Umberto Biancamano e viale Carlo Felice (allora piazza Santa Croce in Gerusalemme), la lottizzazione della parte ortiva e dell’ampio canneto della tenuta Wolkonskj era rimasta per lunghi anni in uno stato deplorevole di abbandono e di degrado, soprattutto per la mancata sistemazione delle strade, rimaste ancora private seppure di uso pubblico. Molti lotti permanevano inedificati ma diversi fabbricati speculativi erano sorti lungo il viale e nei vari lotti interni, costruiti spesso con materiali scadenti. Erano arrivati anche gli abitanti, artigiani e ceto impiegatizio, ma la crisi che aveva colpito Roma negli anni della ‘febbre edilizia’ aveva condotto al fallimento i vari costruttori, e la Banca d’Italia, subentrata nella proprietà degli stabili, aveva operato diversi interventi per portarli ‘in condizioni di affittabilità’, provando ad avviare, negli anni successivi, trattative con l’Amministrazione comunale per la riqualificazione generalizzata di tutta l’area.
Nel maggio 1917, il Consiglio comunale aveva provveduto alla ‘classificazione nel demanio stradale’ delle vie interessate – via Umberto Biancamano, via Conte Rosso, via Provana, via Sclopis, via Siccardi, via Menabrea – ma l’Italia era ancora in guerra e ogni intervento venne rinviato a tempi migliori. Il difficile accordo tra il Comune e i privati – la Banca d’Italia, la Società italiana per le Imprese Fondiarie, la Società Generale Immobiliare ed altri minori – arrivava a conclusione soltanto due anni dopo, nel maggio 1919, con il primo dopoguerra, con l’approvazione della convenzione che stabiliva i termini della riqualificazione. L’Amministrazione comunale avrebbe preso in consegna le strade nello stato in cui si trovavano, impegnandosi a completare i lavori, mentre i ‘proprietari frontisti’, a loro volta, avrebbero contribuito pro-quota ai relativi costi.
Agli inizi del 1921 il Comune avvia finalmente la sistemazione stradale, incaricando le imprese che hanno già in corso gli appalti comunali di manutenzione e, nel giro di sei mesi, i lavori vengono ultimati. È l’inizio della riqualificazione di tutta l’area di Santa Croce in Gerusalemme ed infatti, nel giugno 1923, il Comune delibera il completamento delle urbanizzazioni primarie della zona, avviando anche la sistemazione delle altre strade della contigua lottizzazione della Cooperativa Postelegrafonici, iniziata in quegli anni e già pressoché ultimata, prolungando via Ludovico di Savoia e completando via Sessoriana, via Biancamano e via Menabrea. Nell’ottobre 1926 anche questi altri lavori stradali vengono portati a compimento.
Lì dove c’era un agglomerato incomposto di casotti e giostre, nascono i giardini di De Vico
Tra il viale Carlo Felice e le Mura Aureliane, nello spiazzo che si snoda tra le basiliche di San Giovanni in Laterano e di Santa Croce in Gerusalemme, per anni aveva trovato posto ‘una specie di fiera permanente in contrasto stridente col decoro e con l’estetica di una grande città’. Si trattava di ‘un agglomeramento incomposto di casotti, di giostre, di tiri a bersaglio, un affollamento di oziosi e di sfaccendati, una gazzarra volgare e, più indietro, addossata alle mura della città (…) una fila di luride baracche dei senza tetto’. L’Amministrazione comunale decide quindi di intervenire anche in questi luoghi realizzandovi ‘un bel giardino’, su progetto di Raffaele de Vico, che ‘come per incanto’, ‘improntato all’ampiezza ed alla severità dell’ambiente’, già nella Pasqua del 1925 risulta ultimato e aperto al pubblico.
In questo tranquillo ambiente di verde, qualche anno dopo, il 26 maggio 1927, viene inaugurato anche il monumento dedicato a san Francesco d’Assisi, costituito da un gruppo in bronzo raffigurante il poverello d’Assisi e cinque suoi compagni di fede, in ricordo del viaggio di Francesco a Roma del 1210 per incontrare papa Innocenzo III ed ottenere l’approvazione della Regola del nuovo ordine monastico. Su un largo basamento in blocchi di tufo, a gradoni degradanti verso l’alto, si erge san Francesco, posto nel punto più alto in posizione eretta, con le braccia sollevate verso la basilica di San Giovanni in Laterano, nell’atto di rivolgersi in preghiera a Dio per avere la forza di diffondere il suo messaggio di fratellanza e di pace. Il bozzetto del monumento, dello scultore Giuseppe Tonnini (1875-1954), aveva avuto il parere favorevole della Commissione Capitolina Storia ed Arte, nel maggio 1925 e, per il valore simbolico dell’opera, l’intera fase della sua realizzazione era stata seguita da un comitato artistico appositamente nominato, presieduto da Antonio Muñoz.’Riconoscendo nel gruppo scultoreo lo stesso gusto classico del Cimabue’, anche Pio XI Ratti aveva dato la sua pontificia approvazione.
E con l’inaugurazione del monumento a san Francesco d’Assisi – ‘il più Santo degli italiani’ e ‘il più italiano dei Santi’ – la riqualificazione della zona di Santa Croce in Gerusalemme fu considerata per quegli anni definitivamente conclusa.
Carmelo G. Severino