Le ville esquiline tra XVI e XIX secolo

Splendore e decadenza delle nobili residenze
(Numero 7 – Bimestre mag-giu 2016 – Pagina 10)

Le belle e lussureggianti ville, che dalla fine del Cinquecento caratterizzavano il territorio dell’Esquilino, oggi sono quasi tutte scomparse. Permangono solo villa Gentili Dominici, presso porta Tiburtina, e villa Wolkonskij, in via Principessa di Savoia, quest’ultima quasi inaccessibile per essere la sede dell’ambasciata inglese. Delle altre, in alcuni casi, restano i Casini nobili, privi però dei loro magnifici giardini, lottizzati dopo il 1870 per realizzare il quartiere moderno. Abbiamo infatti il Casino nobile di villa Altieri, con ingresso in via Labicana, di proprietà della Provincia di Roma, recentemente restaurato come Palazzo della Cultura e della Memoria; di villa Astalli, tra via Emanuele Filiberto e via di san Quintino, di proprietà della Congregazione delle figlie di Nostra Signora del Calvario; di villa Giustiniani Massimo, in via Matteo Boiardo, di proprietà dei Francescani di Terra Santa.
Nobili dimore suburbane. Le ville esquiline erano ville più o meno estese, destinate a residenza suburbana delle famiglie patrizie romane. Tra esse si distinguevano villa Peretti Montalto Massimo alle Terme di Diocleziano, la più grande, voluta da papa Sisto V Felice Peretti e progettata dall’architetto Domenico Fontana; villa Palombara, ai Trofei di Mario, dei Savelli signori di Palombara, ristrutturata dal marchese Massimiliano, uno dei maggiori alchimisti del suo tempo; villa Giustiniani Massimo al Laterano, realizzata da Carlo Lambardi su incarico del marchese Vincenzo Giustiniani, fratello del cardinale Benedetto; villa Caserta, in origine del cardinale Nerli, poi, dal 1725, del duca Caetani di Caserta e Sermoneta; villa Altieri, progettata da Giovan Antonio De Rossi per Emilio Altieri, divenuto papa Clemente X nel 1670; villa Astalli, collegata indirettamente agli splendori dei papi, voluta dal cardinale Camillo Astalli (1616-1663) che papa Innocenzo X Pamphili adottò nel 1660. Vi erano ancora le ville Gentili Dominici, Sacripanti, De Vecchi, Rondinini, Magnani, Orsini Conti, d’Aste, Wolkonskj. Quest’ultima impiantata nel 1830 sui terreni acquistati dal principe Bélosselsky per la figlia Zenaide, sposa di Nikita Wolkonskij aiutante di campo dello zar di Russia. Le ville esquiline appartenevano a importanti famiglie aristocratiche romane che avevano già una residenza incittà, in uno dei rioni centrali. I Savelli, ad esempio, avevano il loro palazzo a Monte Citorio, gli Altieri al Gesù, i Giustiniani alla Porta del Popolo, i Caetani alle Botteghe Oscure, gli Astalli a Campitelli. Furono realizzate, quindi, come ville suburbane, con una pars urbana destinata “per uso di delizie”, con il Casino nobile circondato da giardini, labirinti di bosso ed elementi di arredo e di decoro, ed una pars rustica destinata ad uso agricolo. Prevaleva, comunque, la componente ‘di delizie’, più connessa ai valori paesaggistici della natura, grazie alla sensibilità di committenti illuminati ed alla genialità degli artisti che vi lavorarono: da Domenico Fontana (1543-1607) a Carlo Lambardi (1559-1620) a Giovan Antonio De Rossi (1616-1695). Il primo, il più illustre, realizzò per Sisto V il palazzo delle Terme ed il casino Felice, delineando una nuova poetica di giardino, in parte geometrico suddiviso in comparti ed ornato da statue e fontane ed in parte naturalistico che sconfinava nell’agreste della campagna.

La decadenza. Agli inizi del XIX secolo, con la crisi economica, le ville esquiline, mentre imponevano “una dispendiosa manutenzione” non producevano “che una tenuissima rendita”. Frequentate sempre meno dalla aristocrazia papalina, perduta la loro caratteristica di palazzi nobiliari di campagna, furono potenziate come luoghi di produzione per il mercato ortofrutticolo e la parte agricola – i vigneti, le carciofaie e i pomari – viene concessa in affitto ai mercanti di campagna. In questo nuovo atteggiamento dell’aristocrazia romana si distinse la famiglia Massimo che, acquistata nel 1789 villa Peretti Montalto entrò successivamente anche di villa Palombara e di villa Giustiniani, per provvedere agli alti costi di manutenzione delle ville che si estendevano dalle Terme di Diocleziano sino alla Basilica di San Giovanni, diede in affitto ai privati la parte agricola destinata a “coltivazione di ortaglia”. Il principe Altieri invece, nel 1857, aveva preferito vendere la sua villa approfittando dell’offerta vantaggiosa della Società delle strade ferrate romane così come aveva fatto nel 1855 il duca Caetani che per risanare le finanze di famiglia aveva alienato villa Caserta alla Congregazione dei Redentoristi. La costruzione della “nuova Roma”, dopo il 1870, comporterà infine l’urbanizzazione dell’intera zona e la conseguente scomparsa delle ville esquiline che una pianta redatta da Giovan Battista Nolli (1748) ben rappresenta negli anni del loro massimo splendore.

Carmelo G. Severino